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Giornata mondiale della salute mentale, intervista al professor Guido Brunetti

Ogni anno, il 10 ottobre si celebra la Giornata mondiale della salute mentale, istituita nel 1992 dalla Federazione mondiale per la salute mentale e promossa dall’OMS, con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza della salute mentale; lottare contro i pregiudizi e lo stigma che ruota intorno a questo problema e coinvolgere le istituzioni. La ricorrenza offre l’opportunità di affrontare una delle più grandi sfide delle neuroscienze e della società. Esaminiamo il delicato e complesso tema con un noto autore, il professor Guido Brunetti.

  Professor Brunetti, può chiarirci il significato di salute e malattia mentale?

“La salute mentale è un elemento fondamentale della salute e del benessere. La salute è ‘uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non semplice assenza di malattia o infermità’, come precisa l’Oms. A sua volta, il disturbo mentale è ‘una sindrome legata ai problemi del pensiero, delle emozioni e del comportamento’ che riflettono- afferma il Manuale diagnostico dei disturbi mentali (DSM-5)-‘una disfunzione dei processi psicologici, biologici o dello sviluppo che compongono il funzionamento mentale’. I disturbi mentali sono accompagnati da sofferenza o difficoltà nelle abilità sociali, occupazionali o altre attività. Compito della medicina non è solo quello di curare, ma soprattutto di prevenire e rimuovere le cause di malattia”.

 Il disagio mentale è presente anche nell’adolescente?

“Ricerche recenti mostrano che un adolescente su sette presenta un disturbo mentale. In Europa, l’ansia e la depressione costituiscono oltre la metà dei casi. Fra gli adolescenti, il suicidio rappresenta la seconda causa di morte, dopo gli incidenti stradali. Disturbi comportamentali crescono in maniera preoccupante anche nei bambini. Tra i disturbi mentali più diffusi c’è la depressione, che spesso è causa di suicidio”.

Come viene interpretato il disturbo mentale?

“Sono state sviluppate molteplici teorie, a partire dall’interpretazione magico-religiosa della follia e proseguire identificandola con un’alterazione di tipo medico, a un guasto mentale tutto interno all’individuo, a una malattia del cervello. Si tratta di un percorso che passa attraverso concezioni spiritualiste, somatiche, psicoanalitiche, psicopatologiche e antropoanalitiche. Invero, già la medicina del II secolo a.C. afferma con Ippocrate che lo studio del disagio psichico abbraccia l’uomo nella sua totalità. Una concezione propria della psichiatria fenomenologico-esistenziale contemporanea, la quale cerca di esplorare nuove modalità di incontro con il paziente e scandagliare l’interiorità dei paesaggi dell’anima, il dolore inteso come lacerazione, straziante sofferenza, profonda ferita, superando lo sterile etichettamento diagnostico e la stereotipia dei ruoli di medico e paziente”.

Quando nasce il pensiero psichiatrico moderno?

“La psichiatria moderna nasce quando entra in crisi l’interpretazione magico-religiosa del disagio mentale. All’inizio, il trattamento assume una gestione puramente repressiva. Successivamente, si sviluppano forme assistenziali educative e rieducative. E’ il trattamento morale della patologia mentale. Le cause dei disturbi psichiatrici vengono ricercate nella predisposizione ereditaria e nella degenerazione biologica. Il malato è ridotto a malattia, a pura negatività, a un guasto biologico. Nel Novecento, questo modello medico del disturbo mentale va in crisi anche in ragione del fallimento pratico della psichiatria medica e biologica. Non vengono infatti trovate le cause biologiche di questa malattia, né viene elaborato nessun metodo di cura biologico risolutivo. Gli psicofarmaci, diffusi a partire dagli anni Cinquanta, sono soprattutto sedativi e medicamenti sintomatici, e ‘non veri curativi’ (Jervis). Insomma, accompagnano il percorso terapeutico forme di positivismo psichiatrico, determinismo meccanicistico e riduzionismo scientifico e biologico”.

  Ci sono stati progressi in questo campo?

“Lo sviluppo delle teorie psichiatriche ha compiuto evidenti progressi, soprattutto per il confluire di molteplici campi di ricerca (psicoanalitico, antropologico, esistenziale, fenomenologico), che hanno condotto a una rifondazione della psichiatria. Emerge una nuova visione che fornisce non solo un valido strumento interpretativo dei disturbi mentali, ma indica un nuovo metodo di cura e un nuovo modello dell’assistenza.

Invero, i farmaci hanno soppiantato tutte le altre terapie. Negli ultimi anni, si è verificata una generalizzazione eccessiva dell’uso dei farmaci con somministrazioni ‘indiscriminate ed inadeguate’; contemporaneamente, si è assistito a molteplici impostazioni teoretiche di ispirazione psicoanalitica.

Oggi, le tendenze più qualificate sono quelle di una concezione olistica dello sviluppo dei processi neurali e mentali. Non vi è dubbio che se la psichiatria vorrà sopravvivere, ha bisogno delle indicazioni e dei dati che provengono dalla ricerca delle nuove neuroscienze”.

Qual è professor Brunetti la sua conclusione?

Come infine non considerare che tutto pesa sulle famiglie, le quali facendosi carico della sofferenza che la malattia produce lamentano un’assistenza ‘ancora ferma agli anni Settanta, dispensatrice di benzodiazepine e altri psicofarmaci’. “Dietro le infinite diagnosi, le classificazioni e i tecnicismi- conclude il professor Guido Brunetti- si nascondono altri problemi, i problemi umani della vita, le sofferenze, i disagi, l’indifferenza, le difficoltà personali e interpersonali. La medicina, la psichiatria sono anche scienze umane. Il loro primo approccio è quello di un rapporto umano e umanizzante con la persona (il cosiddetto paziente) e con i familiari. In mancanza di una relazione empatica, ogni terapia è destinata ad essere inadeguata e assolutamente insufficiente. Autorevoli studiosi di medicina e grandi clinici da tempo hanno rilevato l’esistenza di una ‘crisi della medicina’, intesa come ‘crisi di formazione’. La ripetuta esigenza di ‘umanizzare’ la medicina rende evidente un paradosso: dover apportare ‘umanità’ a comportamenti che umani dovrebbero essere per definizione e vocazione, ma che umani non sono. L’approccio tecnologico ai problemi del paziente riduce quindi il medico in ospedale a somatologo, tecnico del corpo scisso. Un medico che appare ansioso, insicuro, diffidente e stressato per i turni massacranti”.

                                                                                                                Anna Gabriele

 

 

 

 

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