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Recensione “Blask Panther: Wakanda Forever”, un tenero addio in un film poco convincente

Mercoledì 9 novembre 2022, al cinema, è uscito “Black Panther: Wakanda Forever”, lungometraggio diretto dal regista statunitense Ryan Coogler. Basata sul personaggio di Pantera Nera della “Marvel Comics”, la pellicola è il trentesimo film del “Marvel Cinematic Universe” (“MCU”) e l’ultimo della cosiddetta “Fase Quattro”, nonché sequel di “Black Panther” (2018), sempre diretto da Coogler.

Il cast, ad eccezione di qualche new entry, è praticamente lo stesso del primo lungometraggio; infatti è composto da Letitia Wright (Shuri), Angela Basset (Regina Ramonda), Winston Duke (M’Baku), Martin Freeman (Everett Ross) e molti altri. Invece il ruolo dell’antagonista, ovvero sia Namor il Sub-Mariner, è interpretato dal messicano Tenoch Huerta.

La storia inizia con la prematura scomparsa di T’Challa, sovrano del potente stato africano del Wakanda, nonché protettore della pace nel regno nei panni del supereroe Black Panther. Ad un anno dalla morte del giovane re, sua madre, Ramonda, siede sul trono e si trova a dover affrontare le angherie degli altri Paesi, che, volendo approfittare della scomparsa di Black Panther, sono intenzionati ad appropriarsi della risorsa principale del Wakanda, il formidabilmente versatile metallo Vibranio.

Tuttavia le forti ed ostinate resistenze dello stato africano, inducono le potenze mondiali, in primis gli Stati Uniti, a cercare il prezioso materiale in altri luoghi. Quando, finalmente, dei ricercatori si imbattono in un giacimento minerario di Vibranio nel cuore dell’Oceano Atlantico, essi vengono attaccati da strane e terrificanti creature marine, guidate da un misterioso e potente essere sovrumano, Namor. Questi, dopo aver assalito il team di ricerca, decide di contattare i wakandiani, anche loro possessori del Vibranio, per imporli un ultimatum: allearsi con lui contro il resto del mondo o farsi guerra a vicenda. A dover prendere questa difficile decisione dovranno essere la regina Ramonda e sua figlia Shuri, ancora devastata per la morte del fratello.

La trama presenta alcune buone idee, al tempo stesso intriganti e potenzialmente avvincenti, ma che purtroppo non vengono ben sfruttate. La sceneggiatura, difatti, ha diversi difetti ed imperfezioni, che pesano sulla riuscita della vicenda principale. Essa risulta essere a tratti molto confusa e la maggior parte degli eventi che la compongono sono, narrativamente parlando, a dir poco forzati.

Inoltre, la costruzione dei personaggi è gestita malissimo: effettivamente i vari caratteri, protagonista ed antagonista inclusi, sono piatti, privi di una motivazione valida e non riescono minimamente ad affascinare il pubblico. Altri personaggi, come la giovane Riri Williams alias Ironheart, interpretata da Dominique Thorne ed introdotta nel “MCU” proprio in “Wakanda Forever”, sono totalmente inseriti a caso e la loro presenza nella storia risulta futile e superflua.

Il lato positivo del film sono sicuramente la grafica, la scenografia e gli effetti speciali, che, sotto alcuni aspetti, superano di gran lunga quelli presenti nel primo lungometraggio. A giovarne, naturalmente, è soprattutto la componente action, che sa offrire molte scene avvincenti e spettacolari dal punto di vista visivo.

La pellicola, però, è prima di tutto un tenero commiato per l’attore statunitense Chadwick Boseman, interprete di T’Challa. Anche lui, proprio come il suo personaggio, è tragicamente scomparso all’improvviso, il 28 agosto del 2020, a causa di un tumore al colon. Infatti diverse scene di “Wakanda Forever” sono interamente dedicate al suo ricordo e ciò conferisce al film un’aria decisamente malinconica.

Insomma “Black Panther: Wakanda Forever” è un’opera poco convincente e mal costruita, tuttavia riesce a toccare l’animo del pubblico con alcuni momenti teneri e commoventi.

Cesare Vicoli

 

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