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Intervista a Tony Pagliuca, musicista ed ex tastierista de “Le Orme”

“Le Orme” sono un gruppo musicale di “rock progressivo italiano” nato negli anni Sessanta a Venezia come gruppo “beat”. Insieme alla “Premiata Forneria Marconi” e al “Banco del Mutuo Soccorso” rappresentano i principali esponenti del “rock progressivenostrano, nonché uno dei gruppi che hanno goduto di maggiore visibilità all’estero. Loro caratteristica è sempre stata quella della ricerca e innovazione musicali. Questa caratteristica, di conseguenza, li ha resi precursori di nuovi generi musicali, destinati ad affermarsi qualche anno dopo nello scenario italiano.

Tra i successi de “Le Orme”, quelli più conosciuti al grande pubblico, annoveriamo “Gioco di bimba” (1972); “Amico di ieri” (1975); “Canzone d’amore” (1976); “Regina al Troubadour” (1976); “Marinai” (1982); “Dimmi che cos’è” (1987).

Il nostro giornale ha raggiunto Antonio “Tony” Pagliuca (Pescara, 1° ottobre 1946), tastierista e anima del gruppo, che gentilmente ci ha voluto rilasciare questa intervista.

Maestro Pagliuca, lei è entrato a far parte de “Le Orme”, come tastierista, nel 1968. Come avvenne questo incontro tra un abruzzese ed un gruppo musicale veneto?

Quando ero ancora molto piccolo, mio padre fu trasferito per lavoro a Venezia. Di conseguenza andammo tutti a vivere sulla laguna veneta: a Marghera, cittadina poco distante da La Serenissima. Naturalmente all’inizio fu molto dura per tutta la mia famiglia. Infatti bisogna sapere che stiamo parlando della prima metà degli anni ’50 e l’Italia si stava lentamente riprendendo dai danni della Guerra. Quindi la situazione economica era davvero difficile per tutti. Inoltre per noi ci fu un altro ostacolo da affrontare: l’integrazione. Come ben saprete esistevano ed esistono, anche se oggi molto di meno per fortuna, differenze, soprattutto culturali, tra gli abitanti di una regione e di un’altra. Ciò poteva creare delle tensioni. Fortunatamente, io e la mia famiglia siamo stati ben accolti dalla comunità veneta. Da ragazzo iniziai a studiare per diventare perito chimico. Fu proprio nel mezzo della mia formazione che entrai in contatto con il mondo della Musica. Assieme ad altri giovani musicisti, fondai il gruppo gli “Hopopi”. Fummo anche fortunati perché trovammo un impresario disposto a finanziarci. Fin da subito diventammo molto richiesti, tant’è che per via dei troppi impegni musicali fui costretto a lasciare la scuola. Poco dopo, però, gli “Hopopi” si sciolsero e io fui chiamato prima da “I Delfini”, gruppo di Padova all’epoca ben noto, e poco dopo, nel 1968, da “Le Orme”, che avevano appena registrato il singolo “Senti l’Estate Che Torna”. All’epoca il gruppo era composto da quattro membri ed era in cerca del quinto. La scelta ricadde su di me, visto che mi ero fatto notare, attraverso i gruppi precedenti. Poco dopo il mio ingresso, incidemmo l’LP “Ad Gloriam”. Successivamente, però, due membri abbandonarono il gruppo, poiché dovevano partire per fare il servizio militare. Così prendemmo la decisione di rimanere in tre: io alle tastiere, Michi Dei Rossi alla batteria ed Aldo Tagliapietra alla chitarra e alla voce. Più tardi, dato il mutamento delle atmosfere musicali fra la fine degli anni ’60 e l’inizio dei ’70, cambiammo genere passando dalla musica “beat”, basata sulla chitarra, al “rock progressivo”. Dunque iniziammo ad utilizzare anche nuovi strumenti, affiancando alla sempre presente batteria, il basso e l’organo, che divennero fondamentali nella composizione dei nostri brani. Da lì a breve cominciammo a riscuotere i primi successi, soprattutto grazie all’ album “Collage” del 1971.

A proposito di “rock progressivo”, lei e “Le Orme” siete stati i primi ad introdurre questo nuovo genere musicale nel nostro Paese. Quali sono state le “fonti” musicali da cui avete attinto per comporre questi vostri nuovi brani?

Naturalmente le fonti furono molteplici. Ad esempio, attingemmo moltissimo dalla musica folkloristica e popolare, dal canto mio presi molto dalle canzoni abruzzesi. Ma le nostre principali fonti d’ispirazione furono la musica classica, specie autori come Johann Sebastian Bach (1685-1723, n.d.r.) e Domenico Scarlatti (clavicembalista italiano, 1685-1757, n.d.r.), e quella dei complessi rock di quegli anni, quali “The Beatles”, “The Rolling Stones”, “The Animals” e tantissimi altri.

Nel 1972 arriva il primo disco d’oro con l’album “Uomo di pezza” al cui interno vi è il famoso brano “Gioco di bimba”. Inoltre con la copertina di questo album, “Le Orme” sono di nuovo antesignani in Italia: è la prima copertina ad essere realizzata da un pittore, Walter Mac Mazzieri. Come nacque l’idea di un connubio tra arte musicale ed arte visuale?  

Da sempre le arti e gli artisti collaborano fra loro, arricchendosi vicendevolmente. In questo caso, mentre stavamo ancora incidendo “Uomo di pezza”*, mi venne in mente di commissionare la copertina ad un pittore. Così contattammo Walter Mac Mazzieri e lo invitammo da noi per fargli ascoltare alcuni brani, in modo che gli fornissero ispirazione. Una volta ritornato a casa sua, a Pavullo in provincia di Modena, iniziò a dipingere. Qualche settimana dopo ecco che era pronto il quadro, intitolato “Garbo di Neve”, che poi è divenuto la copertina di uno dei nostri album più di successo!

Nel 1973 arriva il secondo disco d’oro con l’album “Felona e Sorona”, anche qui con una bella copertina in cui sono rappresentati un uomo e una donna simbolo di generi opposti ma complementari. Ma la vera forza de “Le Orme” è sempre consistita nella ricerca di generi innovativi tanto da spingere il gruppo, nel 1974, a compiere un viaggio all’isola di Ceylon (odierno Sri Lanka, n.d.r.), che causerà una nuova svolta musicale grazie all’album “Contrappunti”. Un disco però che è piaciuto più alla critica che al grande pubblico. Come mai?

Beh diciamo che avevamo iniziato ad intraprendere una strada musicale più affine ai nostri stimoli artistici, che però non rispecchiava completamente i gusti del grande pubblico. Si può dire che tale divario aumentò quando cominciammo a dedicarci alla cosiddetta “musica da camera” (filone tradizionale della musica classica, nel quale rientrano composizioni in cui il ruolo del singolo strumento è sempre individuale, n.d.r.), soprattutto a partire dall’uscita del disco  “Florian”, nel 1979.

A tal proposito, si può affermare che, proprio grazie all’album “Florian”, il nuovo stile de “Le Orme” ha influenzato i “Rondò Veneziano”, ovvero il celeberrimo ensamble musicale, nato per l’appunto nel 1979 e che suona proprio musica cameristica e dallo stile classicheggiante. È d’accordo?

Il bello dell’arte, in questo caso della musica, è che ci si influenza sempre reciprocamente. Ciò consente agli artisti di arricchire e perfezionare le proprie opere. Parlando dei “Rondò Veneziano”, può darsi che si siano ispirati al disco “Florian”. D’altronde il loro fondatore era Gian Piero Reverberi, già da tempo nostro produttore e collaboratore, che, a partire dal succitato album “Contrappunti”, era diventato quasi un quarto membro de “Le Orme”, visto che spesso suonava il piano in moltissime nostre canzoni. “Florian” aveva toni più seriosi e velleitari: infatti prendemmo la decisione di abbandonare la batteria. Ciò spiazzò il grande pubblico.

Lei, Maestro, ha lasciato definitivamente “Le Orme” nel 1992, dopo un sodalizio durato un quarto di secolo. Quali sono state le cause?

In realtà una prima scissione era già avvenuta nel 1982, dopo la nostra partecipazione, con il brano “Marinai”, al “Festival di Sanremo” di quell’anno. Poi qualche anno dopo riprendemmo a fare tournée insieme in giro per l’Italia, fino appunto alla definitiva separazione nel ’92. La causa principale del nostro scioglimento fu sicuramente il fatto che alcuni volevano continuare a fare la stessa musica, mentre altri avevano il desiderio di continuare a sperimentare nuovi stili e generi.

Per concludere, può raccontarci brevemente il Tony Pagliuca post ‘92? 

Dopo l’esperienza con “Le Orme”, mi sono trasferito a Roma, per cercare di cimentarmi nel mondo delle colonne sonore per il cinema. Lì ho conosciuto un talentuosissimo poeta, Elio Pecora, il quale mi aiutato a scrivere nuove canzoni, pubblicate in vari dischi che ho realizzato da solista. Poi per l’azienda olandese “Philips” ho inciso l’album “Io chiedo”, registrato anche grazie all’ausilio del computer, che ha permesso la simulazione dei suoni di vari strumenti. Successivamente ho composto anche musica sacra, come una messa di Natale, intitolata “La notte della stella”, nel 1999. Tra l’altro, giusto l’anno scorso ho inciso l’album “Rosa Mystica”, che è una trasposizione in musica dei “Misteri Gaudiosi del Rosario”, composto assieme al Maestro Vittore Ussardi. Insomma una sorta di “preghiera in note”, pensata per allievare le sofferenze in questo triste periodo che tutto il mondo sta attraversando. Inoltre, recentemente ho iniziato a incidere nuovamente “Felona e Sorona” in collaborazione con un’orchestra sinfonica. Tale progetto però è attualmente sospeso, perché siamo in attesa di un impresario. Nel frattempo, in questi giorni, mi sto godendo il successo del mio libro autobiografico, intitolato “Le orme di Tony. Come ho raggiunto il successo senza eccesso”, edito dalla “Readaction” di Roma, che è uscito qualche settimana fa e con cui racconto il mio lungo percorso artistico.

Cesare Vicoli

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