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Sul d’Avalos, “Il giardino dimenticato”

Proviamo a leggere quanto scriveva, il 23 gennaio 1920, un periodico socialista massimalista pubblicato a Chieti la cui testata si trovava a coincidere con un progetto politico del tempo: «La conquista proletaria». In particolare, soffermiamoci su un passo dell’interrogazione parlamentare dell’allora onorevole socialista sulmonese Mario Trozzi (1887-1932) presentata al ministro di turno dei Lavori Pubblici nel governo Nitti, Edoardo Pantano, a proposito di una frana avvenuta a Vasto il mese precedente. Quale zona della città avesse interessata lo apprendiamo dal seguente brano:

Interrogo il Ministro dei Lavori Pubblici se intenda e sollecitamente provvedere alle urgenti opere di restauro, occorrenti al muraglione di cinta del lato orientale della città di Vasto in gran parte crollato la sera del 21 dicembre 1919, producendo gravissimi danni anche alla casa del celebre poeta abruzzese Gabriele Rossetti, rovina precipuamente dovuta all’accidia dei funzionari competenti, che nessun riparo effettuarono dopo il primo franamento avvenuto nella medesima località il 29 aprile 1919, come nulla vanno ora compiendo, ponendo in tal guisa in serio pericolo tutto il rione Santamaria, mentre nella città vi sono oltre 500 operai disoccupati che potrebbero essere adibiti ai lavori di restauro.

Se non fosse per l’italiano un po’ datato (con una langue de bureau efficace, incomparabilmente lontana dalla sciatteria del presente), la pièce potrebbe essere tranquillamente reindirizzato all’attuale assessore regionale ai Lavori Pubblici. Del resto le due frane comprese tra il 2012 e il 2015 sempre nello stesso sito (la Loggia Amblingh) non fanno altro che riconfermare la straordinaria attività di quella enèrgheia (ἐνέργεια) che scaturisce dal continuo scivolamento di un imponente strato conglomeratico sopra l’argilla. E poi, non saremmo tanto lontani da quella singolare gaia scienza della disattenzione e del pressappochismo, se volessimo chiamare la sistematica ripetizione dell’errore, eterno ritorno dell’uguale.

Nietzsche, forse? Ma quale Nietzsche. Nessun riferimento a filosofie d’antan. Molto più semplicemente, l’ovvia constatazione che il cambiamento tra ieri e oggi sta sempre nella infinita reiterazione di ciò che è medesimo a se stesso: vale a dire, l’assenza di manutenzione idraulica in aree storicamente soggette a cedimento. Beh, se proprio vogliamo dirla tutta, tra le due date su riferite incontriamo una diversità. In effetti, il 7 agosto 1919 il governo Nitti aveva incluso l’area in questione nelle zone da sottoporre a sicurezza. Proprio come avrebbe fatto novantaquattro anni più tardi (appena qualche giorno fa) il buon Luciano D’Alfonso con uno stanziamento di 700mila euro. L’unica differenza tra ieri e oggi sta solo nel fatto che, in un ieri più remoto– con precisione, quello del 23 febbraio 1916 – già erano franati alcuni significativi brandelli murari della Loggia Amblingh. E, per fortuna, nulla di tutto questo è capitato in un presente più remoto.

fig. 1
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È intanto utile fare una precisazione. Quando si parla di Loggia Amblingh prima del 1983 ci si riferisce alla sola odierna piazzetta a fianco del Giardino d’Avalos, con qualche sforamento nella zona dell’attuale balconata a mare. In effetti, solo dopo quella data ci si può rapportare all’attuale configurazione strutturale del sito allorché veniva abbattuto il rudere che divideva la Loggia dal Muraglione di contenimento (in una foto degli anni Cinquanta viene indicato con una freccia [fig. 1] il relitto murario demolito nel 1983). Ecco allora il punto su cui riflettere. La balconata realizzata tra il 1926 e il 1927 (quella che, per l’appunto va dalla Madonna della Catena alla Loggia) altro non costituisce che un muro di contenimento nei confronti di un’area solo parzialmente investita dalla frana (come si è già detto, il grosso si era scaricato sulla Loggia). Le pochissime fotografie conosciute sui lavori di consolidamento del 1926/1927 mettono in evidenza due aspetti fondamentali. Da un lato, il drenaggio e la canalizzazione del

fig. 2
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le acque sotto la balconata [fig. 2] (vale la pena ripetere che essa era nettamente separata dalla Loggia); dall’altro, il riempimento con pietre e ciottoli dello spazio compreso tra l’antica cinta muraria e il muro di sostegno per consentire il filtraggio e lo scolo delle acque [fig.3]. Da questo intervento rimanevano esclusi Loggia e Giardino d’Avalos. Con tutte le conseguenze che tale “assenza” avrebbe provocato (ivi compreso lo sciacallaggio di qualche robivecchi d’accatto alla ricerca di improbabili tesori nascosti).

Va da sé che la demolizione del rudere precedentemente ricordata (1983) ha comportato un provvedimento di microdrenaggio della Loggia. Semplice, è vero. Ma in ogni caso effettuato. Che cosa non rientrava in questa operazione? Anche in questo caso la risposta è semplice: il solo Giardino del

fig. 3
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Palazzo d’Avalos. Con quale risultato?  Che Gaia (o, se si vuole, Gea) – la “madre terra” degli antichi Elleni – non sopportando più il procacciato tormento imbibitorio  di neve, pioggia torrenziale, acqua stagnante e putrida sotterranea ha scelto la libertà, lasciandosi andare per sempre in quel vuoto da cui non c’è ritorno (chissà che cosa avrebbe detto Francesco d’Avalos, grandissimo sinfonista italiano e innovatore del genere con la teoria del musidramma, ultimo di famiglia a possederlo, mai considerato dagli amministratori locali, con la felice eccezione di Francescopaolo D’Adamo. Non potremmo mai saperlo. Purtroppo anche lui è stato ricoperto con la terra – e che sia lieve al suo corpo – il 26 maggio 2014).

La storia della frana del Giardino d’Avalos è tutta qui. In un femminicidio (anzi, matricidio) annunziato per intollerabile assenza di regolare manutenzione idraulica (figuriamoci, perfino il mancato sturamento di tombini otturati!). È bene rammentarlo. Si sta parlando per fortuna (si fa per dire!) di un giardino non di un palazzo (la stabilità del Superbo Palagio dei Signori del Vasto è tutt’altra storia da trattare specificamente). Un’ultima considerazione. Evitiamo di utilizzare per sinonimia hortus conclusus per giardino. Vi ricordate che cosa diceva l’immenso re Salomone nel Cantico dei Cantici (IV, 12)? «Hortus conclusus soror mea, sponsa, hortus conclusus, fons signatus» (“Giardino chiuso tu sei, sorella mia, sposa, giardino chiuso, fontana sigillata”).

Se fosse così non ci troveremmo di fronte a un solo femminicidio, ma allo sterminio del genere femminile.

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