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“I cinghiali non vanno abbattuti”, è polemica sul piano di controllo

“Il piano triennale di gestione e controllo della popolazione di cinghiale nelle due riserve naturali di Vasto è un documento standard che si basa su un metodo di acquisizione dei dati molto limitato”. Andrea Mazzatenta, docente di psicobiologia e psicologia animale presso la facoltà di medicina veterinaria dell’Università di Teramo, commenta così lo studio che il comune di Vasto ha commissionato al biologo Fabio De Marinis per il censimento e il controllo degli ungulati.

Il piano che ha censito 276 cinghiali, di cui 235 nella riserva naturale di Punta Aderci e 41 nell’area protetta di Marina di Vasto è stato inviato all’Ispra nelle scorse settimane. Prevede interventi “inevitabili  e particolarmente urgenti” di riduzione numerica attraverso catture ed abbattimenti  “fino ad arrivare ad una densità-soglia che sia ritenuta accettabile dalle componenti sociali e sostenibile da un punto di vista ambientale”. Soluzioni su cui il docente universitario non concorda.

Ho letto il documento e secondo me non ha peculiarità tali che ci possano far capire quale è la popolazione sopportabile dal nostro territorio ed in particolare dalle riserve”, attacca Mazzatenta, “tra l’altro i metodi di acquisizione dei dati sono molti limitati. Praticamente ci sono state tre giornate di osservazione, una tecnica che lascia il tempo che trova.  Ci sono altri strumenti da utilizzare in questi casi come i droni e le telecamere. Si parla di numeri allarmanti, ma secondo me bisogna ragionare non sul numero totale, ma sulle femmine che a Punta Aderci sono in totale 67 e di queste saranno riproduttive la metà, un numero che mi sembra congruo. I maschi non fanno testo perché bisogna capire quanti di questi hanno accesso alla riproduzione e i cinghiali giovani non contano perché la maggior parte di loro muore entro il primo anno di vita. I numeri presentati in maniera allarmistica non sono assolutamente tali”, insiste il docente universitario, molto scettico anche sugli interventi proposti, prevalentemente abbattimenti.

Non si fa minimamente menzione degli interventi ecologici I metodi ecologici come i recinti elettrificati e i dissuasori chimici.”, riprende Mazzatenta, “le paventate azioni di rimozione degli animali in riserva non risolvono il problema  e gli abbattimenti effettuati con il sistema della “braccata” o con il selecontrollo aumenta il conflitto antropico. La braccata con i cani che stanano i cinghiali spinge gli animali a scappare e a rifugiarsi in aree dove non possono essere disturbati, con un effetto a cascata anche sugli incidenti stradali. C’è uno studio veterinario che spiega come la maggior parte degli incidenti che si contano sul nostro territorio si realizza sulla Statale e sono strettamente correlati con gli abbattimenti. Come al solito i dati vanno guardati da chi li sa leggere. Ci sono diversi studi sulla fauna selvatica, a partire dal 2014, portati avanti coinvolgendo anche la Cogecstre e le associazioni.

Tra l’altro se diminuiscono i cinghiali avremo problemi con i predatori, come i lupi”, continua Mazzatenta, “può accadere che scarseggiando le prede naturali i predatori vadano a rivolgere la loro attenzione sugli animali domestici. In questo modo si  incrementa il conflitto antropico e si innesca una spirale perversa”. Per il docente universitario la soluzione è “interrompere l’attività di abbattimento,  far invecchiare la popolazione e farla stabilizzare sul territorio, in modo da ridurre il conflitto antropico”.

Anna Bontempo (Il Centro)

 

 

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