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Fontane di Vasto, dal Fosso di San Sebastiano a piazza Verdi-corso Garibaldi: una storia

Devo subito dire che non conoscevo affatto la fotografia pubblicata da Paolo D’Adamo che qui ripropongo. (foto 1) Anche se fortemente sfocata, consente di individuare la fontana colà effigiata nel contesto della “Cavuta di San Sebastiano” (attuale piazza Verdi), così denominata per la depressione (fosso) in cui scorreva il vallone intitolato al santo, la cui cappella non più esistente era posta grosso modo all’incrocio tra via Mazzini e via S. Lucia.
Molto probabilmente l’immagine iniziale era relativa a un funerale posteriore al processo di colmatura del fosso di S. Sebastiano già avvenuta nel 1912 (foto 2). In effetti, si comprende la successione della prima alla seconda dal fatto che la porticina della torre è scoperta rispetto all’altra di dispone su un piano rialzato sempre rispetto alla seconda (anzi, forse ricavata proprio perché si era addivenuti alla colmatura del tratto compreso tra la torre e la strada). Non è possibile stabilire una data certa, successiva però al 1912.
L’anno post quem è quasi certamente riconducibile a non oltre il 1931, quando la delibera podestarile n.100 del 12 settembre prevede il «collaudo dei lavori di cilindratura, bitumatura e catramatura di Piazza Rossetti, Corso Rossetti e Piazzale della Stazione». Ciò vuol dire che in quell’anno la fontana era già stata abbattuta per dare corpo all’attuale via Crispi.
Mi spiego. Il corso Rossetti (contestuale a Piazza Rossetti, come risulta dalla delibera del 12/9/1931) era la denominazione che, dal 1872, indicava il tracciato compreso tra le attuali piazza Verdi e Porta Nuova foto. Solo con la realizzazione della piazza odierna dedicata al Poeta (12 settembre 1926) sarebbe stato modificato il toponimo Corso Rossetti in via Crispi. Una questione va precisata. Il quartiere Madonna delle Grazie risultava collegato tanto con l’ex-Corso Rossetti quanto che la strada Istonia, progettata nel 1834, che raggiungeva la Marina di Vasto a partire dal punto di inizio dislocato nell’attuale piazza Spaventa (sede prima della Sottoprefettura, poi dell’Istituto Tecnico Commerciale-Mercantile).
Proviamo intanto a ragionare con le mappe ottocentesche conservate nell’Archivio Storico comunale di Vasto. Sottolineo subito che la foto n. 3 concerne una carta del 1868 redatta dall’ing. Silvestro Benedetti. Procedo al commento iniziando da sinistra, in basso, dove si trova l’indicazione “Strada detta di Porta Nuova” attestata all’interno delle mura delimitate dalla voce “abitato della città di Vasto”. La via proseguiva per trecento metri, attraversando il ponticello sul vallone di S. Sebastiano (con la colmatura nemmeno iniziata e posto grosso modo al di sotto dell’aiuola dell’attuale piazza Verdi), raggiungendo la via del Cimitero. Si faccia ancora attenzione a un altro dato. In alto, a sinistra, la carta registra una profonda depressione lunga duecentosettanta metri designata “Gran vallata dei Barbacani” che, dal nord-ovest di piazza Rossetti, raggiungeva gli inizi dell’attuale piazza Verdi, confinando con il muro esterno di villa Cipressi che dagli inizi dell’attuale via Madonna dell’Asilo proseguiva in diagonale fino all’incrocio (sempre grosso modo) tra le odierne via Alfieri e via D’Annunzio. Da lì, iniziava ciò che la carta designa come “Grande china”, al cui fondo scorreva il vallone di Sebastiano. È evidente la canalizzazione del piccolo corso d’acqua che aveva la sorgente nei pressi del bastione sud-ovest del Castello (foto n. 4). La sorgente qui posta, insieme con la cosiddetta “Luce pizzuta” nei pressi della Torre di Bassano ha dato origine alla narrazione cinquecentesca della “naumachia”.
Del cosiddetto “Fosso di S. Sebastiano” si ha traccia grafica in una precedente carta del 1841 redatta dall’arch. Nicola Maria Pietrocola (foto n. 5). Il disegno spiega eloquentemente il vallone che correva allo scoperto prima di confluire nell’Angrella (definita in questo modo dal “Catasto napoleonico” e da Luigi Marchesani e per “ipercorrettismo” Anchella in alcuni documenti comunali ottocenteschi). Con la “x” viene indicato il ponticello che congiunge l’abitato di Vasto a Villa Cipressi (d’Avalos). Da queste due carte a confronto è possibile fissare il periodo di copertura del vallone di S. Sebastiano tra il 1841 e il 1868. Solo dopo questo lavoro di sistemazione idraulica del Fosso diventava possibile ipotizzare la colmatura stradale dell’avvallamento (come si evince dalla foto n. 2).
In ogni caso, è la mappa del 1872, redatta sempre dall’ing. Silvestro Benedetti (foto n. 4) che indica la trasformazione urbana dell’area.
La tavola dal titolo «Pianta topografica dell’andamento dell’asse stradale del primo tratto della strada dell’Incoronata, San Sebastiano, Barbacane, Portanova e loro adiacenze» restituisce graficamente il senso di quanto esposto fino a ora. Di grande interesse, tra l’altro, risulta l’indicazione delle proprietà fondiarie distribuite lungo gli assi viari con le relative edificazioni laddove esistenti.
A questo punto vale la pena tornare all’immagine sfocata esibita dalla prima fotografia. Per quanto mi riguarda, è l’unica foto che conosco della fontana lì ritratta. Una lastra di pietra posta al di sopra della vasca segnala la presenza di un’iscrizione purtroppo impossibile da leggere. Malgrado gli evidenti limiti iconografici, possiamo tuttavia individuarne la localizzazione sulla base del disegno in proiezione ortogonale restituito dalla tavola dell’arch. Pietrocola redatta nel 1841 (foto n. 5). In basso, a sinistra, la didascalia “Fonte degli am(m)alati” designa l’antica denominazione dell’invaso d’acqua sorgiva individuato nella foto n. 1., abbattuto in una data non conosciuta dopo il 1931. Perché avesse tale definizione non è dato di sapere. Molto probabilmente connessa con peculiarità curative (ma è solo un’ipotesi).
In alto, sempre a sinistra, è documentata la vecchia “Fonte dell’Angrella” (Anchella) collocata agli inizi dell’attuale via S. Lucia, sostituita nel 1844 dalla nuova, realizzata su progetto dell’arch. Pietrocola. Nella stessa tavola, inoltre, incontriamo a destra la “Fonte Grande”, allocata grosso modo presso l’attuale Belvedere Romani. Anche di quest’ultima nulla è dato di sapere. Probabilmente la ritroviamo trasformata in un laghetto sempre al Belvedere, stando alla foto n.6 che documenta una processione del Legno della Croce (1931) con i confratelli del SS. di San Pietro in fila intorno a un invaso in seguito scomparso (foto collezione B. Fiore).
Una cosa è certa. La storia di una città si scrive in base alle trasformazioni morfologiche dei luoghi. Si rischia pesantemente di non comprenderla se si legge il passato con gli occhi del presente. Il passato si studia con le forme topologiche del passato. Diversamente non si coglie – solo per fare un esempio – la possibilità di resistenza a un assedio senza conoscere l’organizzazione del suolo. La città non si protegge solo con le mura. Ma anche con il terreno accidentato che le precede. Con gli avvallamenti di cui dispone. Con i piccoli e modesti corsi d’acqua che riescono a rendere difficoltosa una carica di cavalleria o, magari, il posizionamento di una batteria di bocche da fuoco o dello stesso rallentamento di una fanteria. E poi, in che, modo le acque sorgive interne riescono a risolvere l’eventuale sete degli assediati? Non solo. Ma in qual modo, nell’eventualità di un’epidemia come quella del 1817, si riusciva a garantire il trasferimento dei cadaveri in aree extra-muros? Le fonti adiacenti alle murazioni garantivano l’approvvigionamento idrico. Non solo. Favorivano l’abbeveramento del bestiame cosi come la cura dei corpi. Vallate scoscese che dall’attuale viale D’Annunzio sprofondavano verso il fosso di S. Sebastiano, con lo stesso rapporto che si registrava sul versante opposto; dalle murazioni occidentali della città fino al medesimo vallone. Una ricerca importante va condotta sull’individuazione dei profili altimetrici antichi per cogliere la colmatura generale della città avviata nel corso del XIX secolo. Una questione che resta finora sottaciuta ma determinante per delineare la storia urbana della città.
Che devo dire! Discorrendo di questi aspetti mi son tornate in mente parole che credevo dimenticate. Ad esempio, quelle pronunciate da Borges nel suo «Fervor de Buenos Aires» che testualmente recitano: «questa città che io reputai il mio passato, / è l’avvenire mio, il mio presente». Parole che, come lame affilate, puntano direttamente al cuore. Altre dello stesso autore che dicono: «ci mettemmo a vagar per le strade / come un dominio riconquistato». Ed è ciò che cerco di compiere sistematicamente. Ma rispetto alle colmature di interi tratti periurbani più volte mi è capitato di fantasticare su altri argomenti di cui non vale la pena parlare. Alla fin fine mi è tornato alla memoria quel vecchio aforisma di Hugo von Hofmannsthal che, espresso ne «Il libro degli amici», non rinvia alla sola letteratura, ma formula un metodo di ricerca. Nella sua icasticità, enuncia: «La profondità va nascosta. Dove? In superficie». Ed è dalla superficie che occorre iniziare, per conoscere la profondità di una città.
Luigi Murolo
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