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Bolkestein: consulta boccia Legge Friuli, ora tremano anche balneatori abruzzesi

Non è affatto una buona notizia per l’Abruzzo e i suoi balneatori, la sentenza della Corte costituzionale del 30 maggio che ha bocciato la legge regionale del Friuli Venezia Giulia, con la quale si intendevano tutelare i detentori di concessioni delle spiagge contro gli effetti nefasti della ultraliberista europea direttiva Bokestein.

Norma che toglie il sonno anche agli operatori abruzzesi, e che prende il nome da Frits Bolkestein, commissario europeo per il mercato interno della Commissione di Romano Prodi, e che prevede, secondo una non univoca interpretazione, la possibilità anche ad operatori di altri Paesi dell’Unione europea di partecipare ai bandi pubblici per l’assegnazione delle concessioni demaniali delle spiagge.

Anche l’Abruzzo si è vista infatti impugnare dal Consiglio di Ministri a luglio 2017 una legge regionale a firma di Luciano Monticelli del Pd, che va nella stessa direzione di quella friulana, ovvero impedire che le spiagge diventino terra di conquista di multinazionali del divertimento, a discapito di buona parte dei 400 balneatori attuali che su quale spiagge le gestiscono da lungo tempo, avendoci investito anche ingenti risorse, decenni, e che non avrebbero però alcuna possibilità di competere in un bando di gara europeo con colossi economici del settore.

Per quanto riguarda la norma abruzzese si è ancora in attesa del pronunciamento della Corte.

Ad essere impugnato l’articolo 3 della legge Monticelli, in cui si prevede che i Comuni garantiscono che il rilascio delle nuove concessioni avvenga senza pregiudizio del legittimo affidamento degli imprenditori balneari titolari di concessioni rilasciate anteriormente al 31 dicembre 2009.

Questo in base ad una rivalutazione caso per caso che consenta di dimostrare che il titolare dell’autorizzazione poteva legittimamente aspettarsi il rinnovo della propria autorizzazione e ha effettuato i relativi investimenti.

Il pronunciamento della Corte sulla legge friulana, costituisce ora un pericoloso precedente, tenuto anche conto che il Friuli a differenza dell’Abruzzo è una ragione a statuto speciale, dunque con poteri legislativi “rafforzati” rispetto a quelle a statuto ordinario.

Ad essere censurato nella legge friulana
l’articolo che prevede un allungamento delle concessioni balneari fino a 40 anni, nel tentativo di tutelare gli attuali detentori.

Proroga illegittima, per la Corte, in quanto contravviene alla necessità di “una durata limitata del titolo concessorio, in ragione dell’incidenza che il prolungarsi dell’affidamento assume sulle prospettive legate alle potenzialità di ingresso nel mercato di riferimento di altri potenziali operatori economici”.

Bocciato poi l’articolo in cui si prevede che il “concessionario subentrante debba corrispondere all’uscente un indennizzo che tenga conto sia della quota parte degli investimenti non ammortizzati, sia del valore commisurato all’avviamento maturato in forza dell’attività imprenditoriale svolta utilizzando il bene concesso in uso”.

La disposizione, contesta infatti la Corte, “avrebbe l’effetto di attribuire all’uscente un indebito vantaggio, così da determinare una restrizione della concorrenza”.

Si ribadisce in ogni caso che la “durata delle concessioni demaniali marittime è di esclusiva competenza legislativa dello Stato, in quanto immediatamente attinente alla materia della ‘tutela della concorrenza’”.

E a trionfare nella sentenza è la condanna della “diversità di trattamento e della compressione del diritto alla libera circolazione e concorrenza, sancita nei trattati e nella direttiva europea che attua tali principi”.

Con questa decisione, alla luce del suo impianto giuridico, c’è già chi teme che la legge abruzzese avrà poche speranze di passare indenne attraverso le forche caudine della Corte.

Si porrebbe anche la parola fine all’ipotesi di altri interventi legislativi regionali, auspicati dagli operatori balneari finalizzati alla tutela della durata della attuale concessione proprio in ragione della necessità di recuperare investimenti realizzati e di salvaguardia delle loro aziende.

Del resto l’impugnazione della legge abruzzese poggia sul fatto che essa disciplina l’assegnazione delle concessioni demaniali marittime, ed è “pertanto invasiva delle competenze in materia di tutela della concorrenza e di ordinamento civile, riconosciute in via esclusiva allo Stato dall’articolo 117 della Costituzione”.

La speranza della Regione e dei balneatori abruzzesi è che venga però fatta valere la sentenza del 14 luglio 2016 della Corte di giustizia europea, che riconosce il principio della tutela del legittimo affidamento, ovvero il diritto a mantenere la concessione per coloro che hanno negli anni fatto ingenti investimenti.

E si fa notare che la legge abruzzese non prevede come avvenuto in altre leggi regionali, come quella friulana, proroghe quantificate nella durata, ma si limita a tutelare il lavoro e gli investimenti già effettuati.

Sul piede di guerra in particolare la Cna balneatori, secondo la quale l’effetto della direttiva Bolkestein, sarà che le spiagge abruzzesi finiranno “in pochissime mani, favorendo, con lo specchietto delle allodole delle liberalizzazioni, al consolidarsi di oligopoli, che è il contrario della libera concorrenza”.

“Quello che a Bruxelles ci si ostina non capire – aveva detto la cna proprio ad Abruzzoweb – è che la Bolkestein avrà come effetto il vanificarsi degli investimenti fatti in decenni da tanti imprenditori che hanno confidato sul legittimo affidamento, ovvero sul diritto di mantenere senza revoca e a tempo indeterminato la concessione”.

Si contesta insomma che le regole del gioco non si possono cambiare in corso d’opera, mettendo sulla strada imprenditori, che molto difficilmente potranno trovare altre spiagge.

Abruzzoweb

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