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“La donna non si è rivolta al Centro Antiviolenza”

“Rabbia e sdegno!!!“. Questo le prime parole espresse da Felicia Zulli del Centro Antiviolenza DonnAttiva in merito a quanto scritto dall’europarlamentare Daniela Aiuto e riportate stamane dal quotidiano Il Centro. La Zulli in un primo post pubblicato su facebook ha  sottolineato come “La donna non si è rivolta al Centro Antiviolenza. Ma ancora una volta un articolo inesatto ed incompleto che ha la grave responsabilità di sminuire il lavoro dei Centro Antiviolenza e le misure di aiuto messe in campo per sostenere le donne che richiedono aiuto, nonostante la scarsità dei mezzi disponibili, e di ingenerare nelle donne il dubbio che i Centri Antiviolenza non possano sostenerle nel fronteggiare le situazioni di violenza che subiscono. Gravità inaudita ed inaccettabile”.

“Ora basta!!!” -continua la Zulli. “Le strutture di prima fuga mancano in tutta la regione. Nella proposta di revisione della legge regionale presentata da tutti i Centri Antiviolenza alla Regione Abruzzo si prevede l’attivazione di questo genere di strutture.
Anche a Vasto è necessario prevederne una. Questo non significa che il Centro Antiviolenza DonnAttiva del Comune di Vasto non abbia messo in campo misure alternative per sopperire a questa mancanza. Tante sono state le donne allontanate in emergenza. Fa specie ancora una volta vedere pubblicato un articolo inesatto senza neanche essere state interpellate per comprendere se questa donna si sia rivolta al Centro o meno. Non è questa l’informazione che ci meritiamo!!!! Non è questa l’informazione che sostiene le donne che hanno bisogno di aiuto!!!! Non è questa l’informazione che si meritano i cittadini!!!!”.

Uno sfogo iniziale quello della Zulli che poi ha rivolto (in un secondo post) parole all’europarlamentare Aiuto. “Sentita la giornalista mi riferisce e mi invia la nota inviatale dalla segreteria dell’eurodeputata Daniela Aiuto che è stata pubblicata per garantire il diritto di cronaca. Nella nota l’eurodeputata dice di aver assistito ad una richiesta di aiuto formulata da una donna vittima di violenza agli assistenti sociali, non precisando di quali servizi. Segue un’interessante esposizione del ruolo che dovrebbero avere i Centri Antiviolenza e sull’importanza di attivare strutture di prima fuga che mi trovano perfettamente d’accordo. La Aiuto dice, fra le altre cose, di aver visitato Centri Antiviolenza in Polonia e Irlanda”.

“Gentilissima Aiuto -continua la Zulli- anche a noi tutte del Centro Antiviolenza DonnAttiva farebbe immensamente piacere una sua visita. Ci farebbe piacere poterle descrivere come lavoriamo, come opera il Centro in collaborazione con la Rete Antiviolenza e come, nonostante non vi siano case di prima fuga nel nostro territorio, abbiamo sempre garantito un rifugio, anche in emergenza, a quante si sono rivolte al Centro.
Ci farebbe piacere che Lei conoscesse i volti delle operatrici che ogni giorno si spendono per garantire sostegno, protezione e sicurezza a tutte le donne che si rivolgono al Centro e che formulano una richiesta di aiuto.
Ci farebbe piacere che tastasse con mano la ‘densità’ del loro lavoro per poter valutare in prima persona se sono o meno all’altezza del loro compito.
Ci farebbe piacere che lei potesse constatare se c’è o meno chi ‘si gongola su questi temi in cambio di un posto di lavoro compiacente’ (sue parole).
Ci farebbe piacere che lei, che riveste un ruolo politico tanto importante, si impegnasse in prima persona per costruire le condizioni perché sia attivato al più presto una Casa di Prima fuga nella città di Vasto o nel comprensorio Vastese.
Tutti i Centri Antiviolenza, anche il nostro, stanno collaborando con la Regione Abruzzo perché questo sia possibile al più presto.
Ci farebbe piacere che approfondisse se una richiesta di aiuto, formulata dalla singola donna, sia giunta o meno al nostro Centro.
L’informazione da lei trasmessa, e stamani pubblicata dal quotidiano, svilisce il nostro lavoro, il lavoro di tutti i Centri Antiviolenza e insinua nelle donne il dubbio che sia inutile rivolgersi ai Centri.
Tutto ciò a significare la natura della rabbia e dello sdegno per il contenuto della nota da lei diffusa”.

Questa invece la nota divulgata dall’europarlamentare Aiuto.

“Lo Stato può dare un aiuto concreto ad una donna picchiata dal marito? Spesso la risposta è NO. Quasi 7 milioni di donne in Italia, nel corso della propria vita, hanno subito una forma di abuso (ISTAT). Questa mattina, a Vasto, ho assistito ad un episodio toccante: una donna, con evidenti segni di percosse, chiedeva aiuto agli assistenti sociali. Cercava semplicemente un ambiente protetto, dove rifugiarsi, lontana dal marito “pugile” (bestia), stanca di subire continue violenze, non solo fisiche.
L’epilogo? Per questa donna non è stato possibile fare NULLA. Esatto, nulla. Incredibile, vero?  I Centri Anti-Violenza, in una città di medie dimensioni come Vasto, non hanno alloggi per ospitare le donne che scappano di casa in conseguenza degli abusi e delle percosse. Nelle grandi città ce ne sono, ma evidentemente nei centri minori no o non abbastanza.

La violenza sulle donne, oltre ad essere un reato gravissimo, troppo spesso è il campanello d’allarme del rischio femminicidio. Sono stata in visita ai Centri Anti-Violenza in Irlanda e in Polonia durante le mie missioni con la commissione FEMM (diritti della donna e uguaglianza di genere); si tratta di case dove un gruppo ristretto di donne, spesso accompagnate da minori in età scolare, possono rifugiarsi per allontanarsi da un compagno violento. Luoghi austeri ma sicuri.

Lo Stato italiano deve fare di più per le donne: ogni città sopra i 15.000 abitanti dovrebbe avere un Centro per accogliere le vittime delle violenze domestiche, proprio perché sono gli episodi che accadono nei piccoli Centri quelli che spesso rimangono nel silenzio, nell’omertà, e che consentono ai “carnefici” di continuare ad agire indisturbati.

Molto si potrebbe fare con i fondi strutturali messi a disposizione dall’Europa (per esempio il Fondo Sociale Europeo, gestito dalle Regioni), ma negli ultimi anni abbiamo assistito al proliferare di “punti di ascolto” per le vittime di violenze, spesso creati dentro uffici comunali, con personale non sempre all’altezza e, diciamocelo, creati a volte per distribuire posti di lavoro compiacenti e potersi pubblicamente gongolare dicendo: “il nostro Comune è woman-friendly”, ma le donne che subiscono violenze domestiche hanno bisogno di ben altro che di un semplice sportello di ascolto! Le Istituzioni, a tutti i livelli devono comprendere che la tutela della donna e della famiglia, oggi pressoché assente in Italia, passa anche attraverso strumenti che le proteggano concretamente quando con coraggio chiedono aiuto”.

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