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Intervista all’autrice Palma Lavecchia e all’artista Francesca Colacioppo

Palma Lavecchia (Barletta, 1974), Capitano dei Carabinieri, è laureata in Restauro Architettonico. Nel 2003 si è arruolata nell’Arma dei Carabinieri e dopo incarichi a Roma, Cassino, Lanciano e Gaeta, attualmente vive e lavora ad Alatri. Sposata, madre di due figli, ha nella scrittura la sua grande passione. Mi chiamo Beba (Infinito edizioni) è il suo secondo libro dopo Parliamone ancora (edizioni Youcanprint).

Francesca Colacioppo (Lanciano,1989), giovane artista autodidatta, ha esposto i suoi quadri nella mostra Racconti assieme al fotografo Alessio Pancella [21,22 e 23 dicembre 2012 presso il foyer del teatro Fenaroli di Lanciano] e durante l’evento Artisticamente a cura dell’associazione Liberamente di Lanciano [luglio 2013 e 2014]. Solitamente i suoi quadri hanno come tema le favole. S’ispira a Chagall e usa la tecnica della tempera con porporina e colori in rilievo. Nella mostra Mi chiamo Rinata, ispirata al libro Mi chiamo Beba, rielabora e reinterpreta con i colori e la porporina la condizione della donna.

Com’è nato il vostro interesse per il problema della violenza delle donne?

Lavecchia: “È un tema di grande attualità e ci si chiede sempre perché è in aumento. Scrivendo il libro, ho cercato uno sguardo diverso da quello che normalmente si offre e ho tentato d’immedesimarmi nel personaggio, cercando di vivere le sue emozioni negative e positive. A fare quest’operazione, mi ha aiutato un complesso di esperienze vissute che comprendono anche quelle lavorative”.

Colacioppo: “Seguo molto sui telegiornali le storie di violenza sulle donne e in qualche modo ho vissuto indirettamente questo problema, essendo mia madre un’assistente sociale”.

Da chi è partita l’idea di abbinare alla presentazione del libro l’esposizione di quadri Mi chiamo Rinata?

Colacioppo: “Sono stata coinvolta da Palma in quest’iniziativa, alla quale ho aderito con entusiasmo, pur essendo solita realizzare tele ispirate alle favole”.

Lavecchia :“Volevo mettere in luce le capacità di Francesca che ho conosciuto durante la mia esperienza lavorativa a Lanciano. Mi piace,inoltre, abbinare alla scrittura un’altra forma d’arte che esprima lo stesso messaggio. Solitamente, infatti, le copertine dei miei libri sono realizzate da un’altra giovane artista napoletana Rosaria Nastro” .

Che cosa significa per voi la festa della donna?

Lavecchia : “Per me più che festa si dovrebbe parlare di celebrazione, perché la festa è il raggiungimento di un obiettivo, invece c’è molta strada ancora da fare; ci vuole un cambiamento culturale invece sguazziamo nella confusione perché siamo reduci dalle battaglie delle femministe che lottavano per conseguire degli obiettivi per l’epoca impensabil; quell’approccio però oggi non ha più senso perché vuole annullare le differenza tra uomo e donna, mentre bisogna avere la consapevolezza della diversità rispetto all’uomo, ma conseguire la consapevolezza della diversità e di avere delle pari opportunità lavorative e sociali”.

Colacioppo: “La festa della donna non è l’8 marzo, dovrebbe essere sempre; questa giornata è una sottolineatura del ruolo della donna, che dovrebbe essere valorizzata quotidianamente”.

Quale significato hanno la scelta dei titoli Mi chiamo Beba e Mi chiamo Rinata?

Lavecchia: “La protagonista si chiama Benedetta e sceglie lo pseudonimo di Beba quando inizia la sua nuova vita e si libera dalla sua storia di violenza”.

Colacioppo: “Si collega al libro di Palma,in particolare alla conclusione. Il titolo Mi chiamo Rinata è esplicativo di una rinascita ed è in linea con il messaggio positivo dei quadri, in cui spesso la donna è ritratta mentre spicca il volo, verso una nuova vita”.

Breve descrizione del libro Mi chiamo Beba e della mostra fotografica Mi chiamo Rinata.

Lavecchia : “Benedetta è una ragazza come tutte le altre, ho scelto un personaggio in cui chiunque possa riconoscersi. A dispetto della complessità dell’argomento, ho cercato di raccontare la storia nel modo narrativo più semplice in modo che potesse raggiungere più persone possibili, in quanto si tratta di un problema trasversale che non conosce limiti d’età, cultura ed estrazione sociale”.

Colacioppo: “Come tema delle tele, ho scelto il circo: ho creato il parallelismo tra le gabbie all’interno dei quali sono prigionieri gli animali e le donne maltrattare dagli uomini, che sono in una condizione di chiusura e di costrizione. Pensando ai bambini che sono spettatori di situazioni di violenza in casa, il circo, inoltre, è un ambiente in cui di solito i più piccoli sono portati per avere gioia e felicità. Ho scelto di inserire in ogni tela varie brevi didascalie per dare un indizio d’interpretazione al lettore: spesso andando a visitare anche mostre di grandi artisti, ho immaginato diverse ragioni che lo avevano spinto a dipingere il quadro e diversi significati rispetto alle motivazioni e ai contenuti reali; ritengo giusto, invece, che l’artista indirizzi il fruitore dell’opera d’arte sul messaggio che intende trasmettere . In uno dei miei quadri che riporta la didascalia L’amore ai tempi del circo, si vede solo l’ultima parte della gonna della donna che s’innalza oltre il tendone, mentre il personaggio maschile cerca quasi di trattenerla offrendole il proprio cuore, che come sottolineo nella didascalia è un dono per la donna. Come si vede da questa descrizione, i miei quadri cercano di trovare un lieto fine e spesso rappresentano una conquista di libertà da parte degli animali o della donna ”.

Nausica Strever

 

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