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La scomparsa del principe Francesco d’Avalos, grande compositore e direttore d’orchestra

Francesco d'Avalos
foto da instantencore.com

Ho appreso dal “Corriere della Sera” la notizia della scomparsa del principe Francesco d’Avalos, il massimo compositore sinfonico italiano del Novecento. Ero legato a lui da una deferente amicizia che coltivavo a distanza, nelle mie rare frequentazioni napoletane e delle sue ancor più rare a Vasto. Qualche telefonata  sulle sue opere, con il grande dispiacere di non averle mai potute rappresentare degnamente nella città dei suoi  avi. In ricordo della sua straordinaria  attività di musicista ripubblico un mio articolo comparso qualche mese fa sulle colonne di un quotidiano. (Luigi Murolo)

Francesco d’Avalos tra sinfonie e drammi in musica

di Luigi Murolo

Una  storia antica degli Avalos raccontata da un d’Avalos contemporaneo: questo il senso più esplicito di un’opera come Maria di Venosa, il dramma musicale scritto nel 1992 da Francesco d’Avalos[1]. Un lavoro – va detto – che, espressione compiuta della sua poetica musicale (discussa nel libro La crisi dell’Occidente e la presenza della storia)[2], sviluppa un modello formale inusitato nella storia della composizione. Secondo le indicazioni dell’artista, va delineato «[…] un dramma musicale per teatro senza un effettivo libretto in senso tradizionale. L’azione scenica si svolge così come in un film muto e l’orchestra, il coro e alcune parti soliste, si sostituiscono alle parole che non vi sono, ma che, se vi fossero, egualmente (come accade per tutte le opere), non si riuscirebbero a comprendere»[3]. La ragione di tale scelta sta nel fatto che, proprio in assenza del testo ad hoc, la musica può essere strutturata in maniera diversa dalla stessa ed «essere così ascoltata come forma pura, pari a una Sinfonia»[4].

A partire da siffatte opzioni teoriche, determinanti risultano tema e svolgimento del recitativo. Ma, diversamente da quanto capita nell’opera wagneriana, con un Leitmotiv non dettagliato. Nell’ambito di tale orizzonte estetico, la città è in grado di avviare una seria riflessione sulla funzione che potrà assumere nella promozione della grande cultura, declinandola semmai sul progetto che potrebbe recitare Vasto: porta culturale dei Balcani[5] (quella dei Balcani, del resto, è una tematica largamente rappresentata nelle opere appartenute alla Pinacoteca d’Avalos[6]. E qui vale la pena ricordare l’attenzione che il Liceo Scientifico-Musicale ha posto al rapporto con la Croazia nel momento in cui sta giungendo a compimento la macroregione adriatico-ionica). Un progetto – aggiungo – che, oltre a favorire la scoperta delle radici culturali della civitas, sappia invitare, lo stesso outillage mentale cittadino, alla rilettura di un episodio storico di passione, di tradimenti, di morte relativo alla saga degli antichi marchesi del Vasto. Sì, in questo scorcio di inizio secolo, diventa significativo avvicinare la drammaturgia musicale del compositore napoletano Francesco d’Avalos – ultimo discendente della potente famiglia di «viceré» (famiglia, peraltro, cui ben si attaglia la suggestiva immagine di décadence evocata dal capolavoro di Federico De Roberto). Non solo per cogliere la sensiblerie dell’artista contemporaneo tutto proteso alla trasfigurazione soggettivistica della sua materia e, nel caso specifico, di quel remoto «canto del sangue» modulato sulla relazione adulterina tra Fabrizio Carafa e Maria d’Avalos, per l’appunto – moglie-cugina del principe Carlo Gesualdo di Venosa e femme fatale del tardo Rinascimento –, troncata nel 1590 con l’omicidio di entrambi ordito dal marito di quest’ultima. Ma, come già detto, per costruire intorno alla storia degli Avalos uno spazio culturale di ampio respiro da destinare alla costruzione dell’immaginario della città.

Ora, per quanto ci riguarda, di quella storia senza tempo – che nel passato ha suscitato significativi interessi letterari (dalle pagine cinquecentesche del signore di Brantôme al romanzo novecentesco di Alberto Consiglio Assassinio a cinque voci [1967]) –, Francesco d’Avalos ha voluto sottolineare la fascinosità della dialettica eros-thanatos attraverso quella struggente contemplazione della morte intimamente esperita dall’occhio vigile del Gesualdo principe, madrigalista e virtuoso d’arcileuto. Qui, al momento del suo trapasso, don Carlo di Venosa si trova a ripercorrere in flashback le tappe della sua vicenda terrena. Ragion per cui, a partire dall’attimo decisivo in cui egli, nel ritratto della prima sposa legittima, discopre i fantasmi del suo passato, in quello stesso istante non solo riesce a materializzare la «meraviglia» suscitata dalla figura animata di donna Maria ma anche a trasformare la sua stessa esistenza, la sua stessa vicenda umana, in «oggetto» di un intenso, acceso e intenzionante «sguardo» dell’anima. In questa orditura melodrammatica dal titolo Maria di Venosa – suddivisa in due parti, quattordici scene, tredici intermezzi –[7], Francesco d’Avalos dipana un meccanismo narrativo che, nella parte terminale, trova una «dolce» Maria (non più «la selvaggia gitana dai capelli d’oro»)[8] condurre il marito uxoricida verso un’eterna e serena dimora (proprio lui, noto ai suoi tempi come «musico iracondo e lascivo»)[9]. Quasi si trattasse del rovescio del Don Giovanni mozartiano, la Maria di Venosa trascina verso il bene – anche se con tono dichiaratamente faustiano – ciò che era stato male (essenziale la sospensione onirica in quel giardino incantato del tutto dominata dal non-colore del bianco). Ragion per cui, compaginata da un’orchestrazione ad hoc capace di disegnare l’inserimento di alcuni madrigali originali di Gesualdo e testi di Alfonso d’Avalos, Torquato Tasso, Giovanni Cesare Netti, la composizione avalosiana sa restituire la coerente dimensione melodrammatica a ciò che, all’inizio, era stata vissuto come dramma umano. Sotto questo punto di vista, un sonetto del gran messer Torquato dedicato agli amanti infelici viene appositamente utilizzato per chiudere il cerchio affabulativo del récit in musica.

C’è da notare, intanto, come la stessa vicenda abbia avuto una recentissima trasposizione cinematografica (1995) nel film che Werner Herzog ha titolato Tod für fünf Stimmen (di cui, peraltro, è disponibile da poco una versione italiana), traducendo alla lettera il citato romanzo di Alberto Consiglio e mostrando, tra l’altro, l’elaborazione di un soggetto nettamente derivato da questo lungo racconto. Quasi non bastasse, la medesima colonna sonora lascia emergere il respiro di quella musica d’altri mondi vergata dallo stesso d’Avalos che, attraverso gli insondabili meccanismi sensoriali dell’ «àcusma»[10], viene ad assumere una funzione singolarmente connotante del racconto, proprio lì, in quell’unica grande rappresentazione delle «cose» nella quale si trova a essere distillata la costruzione del pathos narrativo. Ne consegue, allora, che, intrigata da suggestioni in apparenza tra loro molto diverse, la Maria di Venosa può di fatto avviare un significativo dialogo tra le arti, tale da essere considerata come un importante aperçu culturale per la parte più avveduta di una città che, malgrado tutto, vorrebbe trovare in radici profonde quell’identità storica capace di raccordarla in qualche modo alle complesse espressioni intellettuali del Contemporaneo.

Mi si permetta una considerazione in margine. Il 19 luglio 2013 è stata presentata nel Palazzo Ducale di Martina Franca, in prima scenica assoluta, la Maria di Venosa di Francesco d’Avalos per la regia di Nikos Lagousakas e per la direzione d’orchestra di Daniel Cohen. Il XXXIX Festival della Valle d’Itria ha voluto così sottolineare artisticamente il quarto centenario della morte di Carlo Gesualdo: con la realizzazione di un’opera musicale dedicata a uno dei maggiori compositori di tutti i tempi, di cui è autore un suo discendente compositore e direttore d’orchestra, proprietario, tra l’altro, fino al 1977 dell’omonimo palazzo vastese (aggiungo che la realizzazione di questo capolavoro si è dovuto ricorrere a una sua parziale ri-orchestrazione curata da Alberto Cara per la Sonzogno). Carlo Gesualdo – Francesco d’Avalos: una straordinaria vicenda artistica madrigalistico/sinfonico-familiare (Sveva Gesualdo, zia di Carlo, sposa Carlo d’Avalos, padre di Maria e avo di Francesco). Non si capisce perché il Comune di Vasto non abbia considerato la circostanza di tale straordinario rapporto musicale-culturale e l’episodio di uno dei femminicidi più brutali e efferati della storia, verso cui lo stesso Torquato Tasso ebbe a dire: «Piangete, o Grazie, e voi piangete, o Amori! / la bella e irrequieta Maria».

Non è cosa di tutti i giorni stabilire nuove relazioni antropologico-culturali, circolazioni di idee, tra la città e la storia più generale in cui è inscritta. Occorre purtroppo prenderne atto. Con le sue debolissime forze, il neonato Liceo Musicale “R. Mattioli” di Vasto procederà alla proiezione del film-documentario di Werner Herzog Tod für fünf Stimmen [1995] (in versione italiana) che sarebbe potuto essere proposto anche al Vasto film festival. Una piccola cosa, è vero. Ma comunque, sempre qualcosa. Un fatto però è certo. Si tratta di avviare un lavoro di svecchiamento delle istituzioni culturali per adeguare le stesse alle esigenze di un pubblico non più proteso al solo consumo dell’ effimero.

Intanto, in seguito della scomparsa del Principe Francesco D’Avalos, compositore e direttore d’orchestra, L’Amministrazione della Città del Vasto comunica che durante la stagione estiva verrà inserito nel cartellone delle manifestazioni un evento dedicato alla memoria del noto compositore.

“Vogliamo realizzare un concerto in cui verranno eseguite le musiche di Francesco D’Avalos proprio all’interno della Palazzo D’Avalos di Vasto – sottolinea l’Assessore al Turismo e alla Cultura Vincenzo Sputore – una serata in memoria di uno straordinario compositore e musicista che permetterà ai cittadini e ai numerosi turisti di conoscere meglio la figura di Francesco D’Avalos e di godere della sua musica e delle sue opere”.



[1] Francesco d’Avalos è nato a Napoli l’11 aprile 1930. 19° Marchese del Vasto, 20° Marchese di Pescara, 7° duca d’Avalos. Ha frequentato i corsi di composizione con Renato Parodi e di pianoforte con Vincenzo Vitale. Presso l’ Accademia Musicale Chigiana di Siena ha studiato direzione d’orchestra con Paul van Kempen e Sergiu Celibidache. Le sue opere orchestrali sono state eseguite in Europa da direttori come Hans Werner Henze e Eliahu Inbal. Ha debuttato come direttore nel 1964 con l’orchestra Sinfonica della Rai di Roma. Oltre ai drammi musicali Maria di Venosa (1992) e Qumran (2002), si ricordano, tra l’altro, alcune opere orchestrali come Hymne an die Nacht (1958), Studio Sinfonico (1956/1982), Lines per soprano e orchestra (1963), Die stille Stadt per soprano archi e timpani (1994). Con la Philarmonia Orchestra ha inciso opere di Clementi, Mendelssohn, Franck, Chausson, Martucci. Dal 1972 al 1979 ha insegnato Composizione presso il Conservatorio di Bari. Dal 1979 al 1998 ha insegnato Composizione e direzione d’orchestra presso il Conservatorio di S. Pietro a Maiella di Napoli. Ha pubblicato (titolo completo) La crisi dell’occidente e la presenza della storia. Il significato del XX secolo attraverso l’evoluzione della musica (2005). Vive a Napoli nell’omonimo palazzo.

[2] F. d’Avalos, La crisi dell’Occidente e la presenza della storia, Milano, Bietti, 2005.

[3] Ibid., p. 246.

[4] Ibid., p. 247.

[5] Cfr. L. Murolo, Vasto-Pescara: porta culturale dei Balcani, in «Vasto domani», a. XLII, n. 1, gennaio 2007.

[6] Sull’argomento cfr. L. Murolo, Figurazioni del Potere nell’antica pinacoteca degli Avalos, in «Vasto domani», a. XLI, n. 10, novembre 2006.

[7] Per una sintesi molto dettagliata del libretto cfr. F. Mannino, La caccia nella musica, Bologna, Greentime, 1996, pp. 79-89.

[8] A. Consiglio, Gesualdo ovvero assassinio a cinque voci, Napoli, Berisio, 1967, p. 71

[9] Ivi.

[10] Con questo termine si intende «tutto ciò che si sente senza che sia possibile individuare il luogo di provenienza della sorgente sonora». Sulla questione cfr. M. Chion, La voce nel cinema, Parma, Pratiche editrice, 1991.

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