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L’insigne chiesa collegiata di Santa Maria Maggiore di Vasto

Santa-Maria-MaggioreAntichissima è l’origine della chiesa di Santa Maria Maggiore, la cui esistenza, tuttavia, si fa risalire al 1195, sotto il regno di Enrico VI, confermata nel possesso dei Benedettini di San Giovanni in Venere. Nella chiesa si conserva una lapide con inciso D.O.M. TEMPLUM HOD D. ELEUTH EPISCOPO DICATUM AN D. CCCCXXVII il che fa supporre che già nel 427 il tempio fosse dedicato al vescovo Eleuterio. Altre testimonianze riferiscono che, nel 1234, venne aggiunto il vestibolo e nel 1331 costruita la torre. Nel 1544 (atto del notaio G. B. Robio del 4 dicembre 1544) venne sottoposta a restauri e nel 1545 fu realizzato, con una pubblica sottoscrizione, il tabernacolo d’argento decorato in oro che viene portato nella processione del Cristo morto. Nel 1547 venne fusa la campana grande, mentre nel 1566 i Turchi distruggevano gli arredi sacri e devastavano la chiesa arrecando un danno di 10mila ducati. Il 14 giugno 1645 il fuoco divampato all’interno distrusse l’altare maggiore, il coro, la pisside, l’organo e le travi del tetto.

La torre campanaria, quadrata, che poggia le fondamenta sugli avanzi del Castel Gisone, ha nella cella superiore quattro campane, la seconda delle quali è dedicata alla Santa Spina, la terza è del Gonfalone, mentre la piccola suona per annunziare le messe. Nella cripta sono custodite alcune reliquie: il corpo intero di San Cesario con vesti da guerriero e con un’ampolla contenente il sangue donato da Cesare Michelangelo D’Avalos il 3 novembre 1695 ed invocato dai Vastesi contro i terremoti e c’è la Santa spina che coronò il capo di Gesù in croce. Fu nel 1785 che Santa Maria venne completamente ricostruita a tre navate. Quella centrale ha colonne corinzie a fianco delle quali ci sono le nicchie che contengono statue degli apostoli e dei quattro profeti. Nella navata destra ci sono le cappelle di Sant’Anna, della Santa Spina, di Sant’Antonio abate (fatta restaurare nel 1567 da Tullio Caprioli per stabilirvi la sua sepoltura e quella dei suoi). A sinistra, quelle di Santa Maria, di San Cesario, di Santa Caterina, del Monte dei morti (o Anime del Purgatorio), del Santissimo sacramento, di San Nicola di Bari. Insigni sono le opere d’arte conservate nella chiesa, tra cui l’Ecce homo della scuola del Tiziano, il Battesimo di Sant’Agostino (oggi cattedrale di San Giuseppe), opera di Luigi Benfatto, nipote del Veronese, lo sposalizio di Santa Caterina attribuito al Veronese, la Madonna del Gonfalone, opera del Cinquecento veneziano. Sono inoltre custoditi il dipinto della Neve della Scuola romana (XVII secolo) e il quadro della Vergine martire, le grandi tele della Pentecoste e La presentazione del Camauro a Celestino V, dipinti da Francesco Solimena del 1727 che già appartenevano alla chiesa dei Celestini. Di autore ignoto è il quadro raffigurante la Madonna col Bambino del XVIII secolo.

Santa Maria Maggiore 1Tra gli altri capolavori che si possono ammirare a Santa Maria, vanno ricordati un tabernacolo in rame e argento del 1545, il reliquiario della Santa spina ed uno del XVIII secolo, un calice donato da Cesare Michelangelo D’Avalos, un organo del 1719, già nel convento di Sant’Onofrio (restaurato), la statua del Settecento napoletano in terracotta di Santa Chiara che era custodita nell’ omonima distrutta chiesa, un fonte battesimale in pietra della Majella del 1572. Sul muro occidentale è collocata la pietra tombale di Bellalta de Palatio e sul muro orientale quella di Buccio di Alvalappario, suo consorte. All’interno ci sono le lapidi sepolcrali di Tullio Caprioli, Carlo Bassano, Emilia Caprioli, N. Antonio Cardone, Venceslao dei Conti Mayo, Nicola Cancellieri, Innigo D’Avalos, Leonardo Preta e altri uomini illustri, tra cui si ricordano Bernardino Carnefresca detto Lupacchino dal Vasto, vissuto nel 1500, musicista e maestro di Cappella nella basilica di San Giovanni in Laterano, prima del Palestrina, autore di ricercati madrigali.

Giuseppe Catania

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