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“6 aprile 2009, quali sono le corresponsabilità?”, le riflessioni di Fabiola Tamburro

La notte del 6 aprile la mia famiglia, come tante aquilane e non, è stata massacrata. Mia sorella, mio padre e il mio nipotino di soli 9 anni non ce l’hanno fatta. Non sono sopravvissuti alla forza devastante del terremoto.
Non voglio entrare nei dettagli giuridici e tecnici sulle responsabilità umane della tragedia che si è consumata quella notte.
Non ne ho le competenze.
Io e la mia famiglia ci siamo chiusi in un doloroso e dignitoso silenzio.
Abbiamo vissuto il nostro dolore circondanti da amici e parenti che sono stati la nostra vera forza.
Abbiamo guardato avanti, come ci ha sempre raccomandato mia madre, che ha resistito dieci ore sotto le macerie, circondata dai suoi cari privi di vita.
Mai ho messo la mia storia in piazza o postata da qualche parte.
Ma adesso sentire che c’è “corresponsabilità” nelle morti di quella notte… Che sono stati imprudenti a non uscire di casa, mi distrugge!…
E riemerge tutta la rabbia …
Mio padre aveva 79 anni, era monopolmone e attaccato alla bombola di ossigeno.
Dove mia sorella, valido e competente ingegnere, avrebbe dovuto portarlo durante le tre forti scosse che si erano succedute in quattro ore dalle 22,48 del 5 aprile a quella fatale delle 3,32? E dove durante le scosse registrate in precedenza per intere settimane a cominciare dal 16 gennaio?
Quale sarebbe la “corresponsabilità” di mia sorella?
Quale avrebbe dovuto essere “il comportamento prudente” da parte sua e di tutti i famigliari delle altre 306 vittime?

Fabiola Tamburro

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