Nei primi giorni di Luglio del 1943 il territorio salvanese fu occupato dalle truppe tedesche. I bombardamenti inglesi si susseguirono quasi giornalmente, finchè la popolazione salvanese fu costretta ad abbandonare le case per ben tre volte e rifugiarsi nei paesi più vicini (Lentella, Cupello, Monteodorisio). Silvino Di Florio aveva 9 anni.
Suo padre Antonio, la mattina, appena sceso dal letto, comunicò alla moglie il suo proposito di abbandonare la casa e di traslocare nello scantinato del ricco possidente Ciavatta, dove sarebbero restati fino alla sconfitta dei soldati tedeschi. La moglie acconsentì subito. In meno di un’ora prepararono le cose necessarie da portare con un carro. Nel rifugio trovarono altre persone, tra cui mamme, bambini e anziani. Con il passare dei giorni, il pane cominciò a scarseggiare.
Si ricordò di un amico d’infanzia, che abitava in una graziosa casetta fuori dal paese. Uscì alle prime luci dell’alba e, senza fare il minimo rumore, attraversò diverse stradine e vicoletti, con il cuore che gli batteva a mille. Bussò alla porta, che subito si aprì. L’amico intuì la sua esigenza, avvolse rapidamente con un panno di lino (‘nghì la mandrécchie) tre enormi forme di pane e le infilò nella bisaccia. Si salutarono con la promessa di passare qualche attimo insieme.
A passo lesto tornò nel rifugio. Due tedeschi si accorsero che da dentro proveniva un basso vociare discontinuo. Con una spallata aprirono la porta ed entrarono. Appena videro il rifugio pieno di gente ebbero uno scatto di rabbia. Con una prontezza impressionante imbracciarono i mitra decisi a compiere una strage. C’era un silenzio di tomba. Ma improvvisamente, suo figlio Silvino, con un salto si prostrò davanti ad essi e con voce poderosa gridò:” Nnì sparàte, aripinsàtice, chivvi same fett, pietà, pietà di ni, Gesù fa la grazie”. (Non sparate, riflettete, cosa vi abbiamo fattola colpa non è nostra, abbiate compassione per noi, Gesù fai un miracolo). Uno dei due soldati provò compassione per il bambino e intimò al suo camerata di deporre la mitragliatrice.
Stavano proseguendo verso la porta, ad un tratto fecero dietrofront e afferrarono suo padre per il collo. Stavano per condurlo fuori, Silvino scattò di nuovo come una lince, si aggrappò ai pantaloni dei due tedeschi e cominciò a dimenarsi e a piangere; gridò:” Papàààà! Papààà! Nin di ni jè! Arimàne nghì nni! Ch’ess ti vonn’accete”. (Papà, papà. Non andartene. Resta con noi. Questivogliono ucciderti!). Anche questa volta, il tedesco buono si impietosì e con uno sguardo minaccioso fece intendere al camerata di non muovere un dito. Lasciarono il padre libero e sgattaiolarono fuori, frettolosi. Silvino è stato un eroe. Solo per il suo coraggio si evitò un massacro. Nonostante i suoi 85 anni, sta abbastanza bene. Sono passati 76 anni da allora, nel raccontare la sua storia, ancora oggi le guance si rigano di lacrime.
Michele Molino