Se fossi un politico del Partito democratico non griderei: “Abbiamo una Banca!” ma “Abbiamo una Cooperativa!”, perché le Cooperative, spesso, producono più di una Banca. Producono consensi, voti, bocconotti, per dirla alla casalese, buoni non da mangiare ma da esibire a ogni tornata elettorale. Sono un bene prezioso da curare, da alimentare, da sostenere e le Amministrazioni, soprattutto rosse, le curano, le alimentano e le sostengono. Certo, vi diranno che danno lavoro a tantissime persone, ci mancherebbe altro; che vogliamo fare, le vogliamo chiudere? No, non le vogliamo chiudere, ma i metodi che le tengono in vita sono alquanto discutibili, a Roma come a Vasto, a Milano come a Palermo, a Bologna (oddio, ho scritto Bologna! Si può?) come a Reggio Calabria. I fatti della Capitale dimostrano che intorno al fenomeno cooperativo agiscono menti capaci di unire la politica con il malaffare, di tenere la politica sotto schiaffo perché è alla politica che danno, perché è dalla politica che ricevono e, spesso, non per chi vi lavora, per chi dev’essere accolto o curato, ma per loro. A Roma sono arrivate le sirene e, con le sirene, le manette. A Roma. Speriamo non accada da nessun’altra parte. Anche per non versare le solite lacrime di coccodrillo, lacrime sinistre. Chi è causa del suo mal, pianga se stesso. Volete una massima spesso citata da Romano Prodi? Ognuno dorme nel letto che si è preparato. Auguri a tutte le lettrici e i lettori de Il Nuovo.
Davide D’Alessandro
