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Imu, la Cna ai sindaci: applicate l’aliquota minima

Cna_soldi“Ferma restando la battaglia per l’esenzione totale dal pagamento dell’Imu dei capannoni condotti direttamente dagli imprenditori per le loro attività, nulla impedisce ai sindaci abruzzesi di applicare, intanto, l’aliquota più bassa.”
È quanto sostiene la Confederazione dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa abruzzese, secondo cui “occorre equiparare il trattamento dell’imposta sugli immobili gestiti dalle imprese per svolgere al loro interno la propria attività, alla prima casa”.
Nel 2012, ricorda la confederazione artigiana presieduta da Italo Lupo, l’applicazione della nuova imposta ha rappresentato in Abruzzo un vero e proprio salasso, con aumenti vertiginosi della tassa, soprattutto se confrontati al precedente gettito garantito dall’Ici. Secondo una ricerca condotta dal Centro studi nazionale della Cna, infatti, l’incremento percentuale tra i due sistemi di tassazione ha generato in Abruzzo una impennata vertiginosa della tassazione: i comuni abruzzesi, infatti, hanno registrato mediamente – con la sola eccezione dell’Aquilano, attestato al +77,52% di aumento Imu/Ici – crescite tutte largamente superiori al 100%. Dal “minimo” teramano (+101,07%) al massimo del Chietino (+121,09%), passando per la provincia pescarese (+112,05%). Virtù, quella teramana, ‘sconfessata’ dall’applicazione media più alta dell’aliquota applicata alle attività produttive, una categoria che raggruppa uffici e studi privati, negozi e botteghe, laboratori per arti e mestieri, edifici industriali e artigianali; fabbricati industriali a destinazione speciale. Con ben 1.719,03 euro di gettito medio, infatti, il Teramano risulta il territorio più “rapace” verso le attività d’impresa, seguito da Chieti (1.678,59 euro), Pescara (1.176,85) e L’Aquila (1.035,31).
“Di Imu si può morire – ammonisce la Cna – e le amministrazioni locali devono comprendere che i loro bilanci non possono essere costruiti tartassando le attività produttive, salvo poi strapparsi i capelli nei convegni di fronte al numero pauroso si cessazioni di attività prodotte dalla crisi. D’altra parte, contribuendo alla chiusura di tante attività, diminuirebbero la capacità di entrata sulla miriade di altre tasse locali applicate alle imprese.”

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