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Impianti di ecoballe, Arci e Italia Nostra: alto rischio incendi

Esprimono netta contrarietà e pongono una serie di interrogativi su alcune problematiche che potrebbero insorgere, quali l’instaurarsi dell’effetto domino per la presenza di altri insediamenti produttivi in quell’area e il rischio di incendi. Sono racchiusi nelle 27 pagine di osservazioni i dubbi e le perplessità che Arci e Italia Nostra esprimono sul progetto della Ecoexport di Gavardo (Brescia) per lo stoccaggio temporaneo di Cdr, cioè combustibile da rifiuti proveniente dalla raccolta differenziata urbana, in un capannone della zona industriale di Punta Penna, a ridosso dell’omonimo sito di interesse comunitario (Sic).

“Non siamo aprioristicamente contrari ad attività che riguardano il recupero e il riutilizzo di rifiuti”, è la premessa di Nicola Salvatorelli e Davide Aquilano, rispettivamente presidenti di Arci e Italia Nostra, “ma il progetto della Ecoexport pone interrogativi non di poco conto, tali da indurci a manifestare una contrarietà palese riguardo il suo insediarsi nell’area industriale di Punta Penna, caratterizzata da contraddizioni e rischi. Come non sottolineare i drammatici e catastrofici effetti che sortirebbero qualora dovesse verificarsi un incidente, prima fra tutti un incendio in uno qualsiasi degli insediamenti produttivi presenti in quel  sito  o in zona limitrofa? Già nel 2013 il Comitato cittadino per la tutela del territorio del Vastese evidenziava il possibile istaurarsi di un effetto domino con inimmaginabili conseguenze. In Italia nel 2014 sono andati a fuoco ben 250 impianti di trattamento, stoccaggio o deposito di rifiuti. Le stesse ecoballe intatte hanno generato problemi, in quanto sospettate di contenere rifiuti radioattivi o inconvenienti ambientali a causa del rilascio di odori molesti”.

Salvatorelli e Aquilano ricordano che nella zona industriale di Punta Penna si trova un’azienda in direttiva Seveso (cioè ad incidente rilevante), con depositi ingenti di materia prima comburente e carburante, un insediamento adibito alla lavorazione di legname, la ditta produttrice di fertilizzanti, depositi costieri di acido solforico, una fonderia di cui nessuno sa nulla malgrado le verifiche richieste da anni, un “cementificio” in itinere, il porto con navi alla fonda scaricanti anche le materie prime pericolose, centinaia di residenti e migliaia di bagnanti, due alvei torrentizi produttori di biomassa ed un troncone ferroviario in disuso.

Come si può pensare di autorizzare l’insediarsi di altri impianti egualmente rischiosi?.”, annotano i responsabili delle due associazioni che nelle osservazioni depositate in Comune oltre a sottolineare che la procedura non andava attivata in quanto la Ecoexport non risulta ancora assegnataria del capannone da parte dell’Arap,  rilevano anche una serie di  “carenze nello studio di incidenza ambientale (Vinca)”.  

Anna Bontempo (Il Centro)

 

 

 

 

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