Banner Top
Banner Top

Murolo: “Casotti”. Piccola vicenda di una “terra desolata”

Che strano! Vecchie cabine sulla spiaggia impresse su pellicola dopo un violento temporale o una mareggiata, testimoniando il senso della loro effimera durata. Limitata a una stagione. A una sola stagione: quella estiva. Montate a giugno, smontate a settembre. Poi riposte in un deposito, attendevano l’estate successiva per mostrare, dopo stuccature e adeguate riverniciature, la solarità della loro coloritura.

Rimanendo nuda per tre quarti dell’anno con l’arenile destinato alla piccola pesca, la spiaggia si ripopolava all’improvviso di questi rifugi provvisori. La solitudine del luogo lasciava il posto al brulichio dei carpentieri. E non erano i soli concessionari a rinfrescare le tinte dei legni bruciate dalla salsedine. Ma anche i privati. Che già da Maggio si attrezzavano per riassemblare i propri «casotti» – quelli di famiglia – e conquistare di fatto il proprio posto al sole.

Il «provvisorio» scandiva la vita di quelle minuscole «casarelle» dal tettuccio a spiovente. Tutti sapevano che il loro «pieno» sarebbe stato presto sostituito dall’ «aperto» dell’arenile. Che non era un «vuoto». Ma il ritorno all’unica naturalità possibile su di una riva. Vale a dire, l’indissolubile rapporto tra la terra e il mare.

“Casotti”, dunque. Nella loro fugace apparizione sulla sabbia, spogliatoi e meri contenitori degli attrezzi per i fruitori dei bagni di mare. Sedie a sdraio e ombrelloni che ognuno fissava a terra al momento dell’arrivo. Qualcuno magari esibiva “pinne, fucili ed occhiali” – tanto per richiamare alla memoria la vecchia canzone di Edoardo Vianello – per attirare su di sé un’attenzione di cui non poteva fare a meno. Noleggiava un moscone per allontanarsi a qualche metro dalla battigia per immergersi nelle “profondità” (?) adriatiche – forse per nascondere al pubblico la propria incapacità natatoria –. Ma tanto bastava. Poi, conclusa la prova di abilità, tornava a riva per consumare la bibita che Luigi “Nasone” tirava fuori dal cavo dalla sua ghiacciaia portatile a tracolla nell’infinito andirivieni tra la colonia marina e il pontile. In ultimo, riponeva gli attrezzi proprio in quel casotto da cui aveva preso l’avvio la sua avventura quotidiana. E continuare la propria giornata al galoppo, da cavallino rampante alla ricerca di improbabili avventurette estive.

Insomma, grande libertà nei movimenti. Nessuno sbarramento. Men che meno la presenza di quella sorta di cavalli di frisia (non saprei come chiamarli) che interrompono oggi il continuum dell’arenile. No. Nessuna forma di “privatizzazione” esplicita o larvata. Peraltro, lontani anni luce dalla stessa possibilità di ipotizzare in un futuro remoto eventuali direttive Bolkenstein capaci di legittimare l’appropriazione definitiva del litorale.

L’unica forma di tutela del privato di una persona era il “casotto”, l’elemento topico che il bagnante deteneva per l’assalto alla posizione migliore. Destinata a chi scendeva presto alla marina piantando l’ombrellone della vittoria, lasciando, a chi “calava” poco più in ritardo, il tempo di meditare su quel detto che recita «chi tardi arriva, male alloggia».

Le foto di Piero Giancola che qui ripubblico scandiscono l’agonia di un mondo senza più anima. Casotti in abbandono lasciati in balia dei venti e della salsedine che ne sgretolano lentamente l’impianto. Il desiderio di uomini che intendevano liberarsi di codeste creature divenute ormai inservibili lasciando alla stessa natura il compito di rendere polvere ciò che in quel momento si era trasformato in ingombro. Nemmeno il buongusto di raccogliere quei legni e destinarli alla decomposizione in un apposito cimitero per carcasse oggettuali.

Potremmo titolare queste foto «Terra desolata». Ancor più desolata di quando la spiaggia di Vasto era l’aeroporto del comando generale dell’VIII armata nel novembre-dicembre 1943. Lì era funzionale alla difesa di un territorio; qui alla sua distruzione.

Casotti. O meglio, fantasmi di casotti che, divelti dalle basi, attendono solo di cadere per chiudere per sempre il proprio ciclo. Un’epoca che muore. Ma niente. Il ludibrio cui sono sottoposti è il ludibrio di chi, così, ha voluto lasciarli in un vuoto senza fine.

Certo, il mondo usa-e-getta. Quel mondo usa-e-getta su cui è nato il nuovo turismo balneare che presto sarà soppiantato dal nuovissimo in piena gestazione. E non sappiamo se ci sarà un Piero Giancola a raccontarne la fine. E francamente non me ne importa nulla.

Ciò che resta è solo il canto della «terra desolata». Delle immagini malinconiche che l’hanno raccontata. Di un mondo che non aveva chiusure e che, nei casotti, trovava il fondamento della temporaneità insediativa lasciando alla spiaggia la specificità che la natura le aveva decretato.

Luigi Murolo
Foto di Piero Giancola

  • index
  • index1
  • index2
Griglia in fondo agli articoli
Griglia in fondo agli articoli
Griglia in fondo agli articoli
Griglia in fondo agli articoli
Griglia in fondo agli articoli
Griglia in fondo agli articoli
Griglia in fondo agli articoli
Griglia in fondo agli articoli
Griglia in fondo agli articoli
Griglia in fondo agli articoli
Griglia in fondo agli articoli
Griglia in fondo agli articoli
Griglia in fondo agli articoli
Griglia in fondo agli articoli

Related posts

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

WP2Social Auto Publish Powered By : XYZScripts.com