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Michele Trivilini in prima linea sul fronte russo. Il suo commovente racconto

Quelli che seguono,  sono i fatti di cui è stato protagonista Michele Trivilini tenace combattente nell’asperrima campagna di Russia. Purtroppo abbiamo dovuto fare un grande sforzo di sintesi. Nacque  in una modesta  famiglia di contadini, abitava nella zona ‘Ributtini’. Appena più grandicello  cominciò lavorare i campi dei proprietari terrieri.

Raggiunta la maggiore età, mentre prestava  il servizio di leva, si verificò che  la  Germania dei  nazisti si alleò con l’Italia e lanciò l’operazione Barbarossa contro  la Russia.Venne inviato a  Millerovo su una lurida e nauseante tradotta militare.

Per giungere a destinazione attraversò quasi tutta l’Europa ed  inoltre percorse (a piedi)  50  chilometri  di sentieri innevati e cosparsi di mine. Fu assegnato a combattere  nelle postazioni più avanzate. Il giorno dopo,  lungo la riva destra del Don,  si scatenò un violento combattimento corpo a corpo. Si salvarono lui ed altri sei. Cercò un nascondiglio,  ma si smarrì in un bosco. La fame aumentò; riempì lo stomaco con le bucce di patate e i torsoli dei cavoli. Per diverse volte bevve  le sue urine.

Dopo molto tempo fu rintracciato dal comando e immediatamente trasferito  al fronte di guerra. Iniziarono le bufere di neve, le temperature toccarono 48 gradi sotto lo zero;  gli equipaggiamenti dei soldati erano  totalmente inadeguati. Le armate russe sfondarono il fronte. Michele  riuscì a fuggire, nascondendosi  tra i cespugli. Fu ritrovato dai soldati russi e subito arrestato, ma riuscì ancora una volta a far perdere le sue  tracce. Per la fame non  si reggeva in piedi.  Trovò le erbe selvatiche e ne fece incetta.

Dopo molto tempo ritrovò  la base del suo  reggimento. Fu inviato a combattere in prima linea sul fronte di Stalingrado. Le pattuglie  italiane  resistettero  agli attacchi russi solo per pochi giorni, ma dopo  furono  costrette a darsi alla fuga. Del suo drappello composto da 19 soldati,  riuscirono a salvarsi lui ed altri due. Per difendersi dal  gelo si  riparò  dietro mucchi di soldati morti. Restò dodici giorni, senza mangiare e  senza bere  in un casolare abbandonato.

Il  suo corpo fu invaso  dai parassiti (cimici, pulci); prese la polmonite, mentre i piedi  rimasero congelati.  Un soldato  italiano (era il giorno di Natale)  lo trasportò con una moto  all’ospedale di  Voroshilovgrad. Pian piano  il  suo stato di salute migliorò. Nel frattempo i russi sgominarono completamente gli eserciti italiani. Il numero delle vittime abbandonate nella neve fu altissimo. Iniziò il  fuggi  fuggi.

Dopo due mesi, Michele raggiunse  il confine italiano con automezzi militari; percorse a piedi gran parte dello Stivale italiano; arrivò a casa dopo circa due mesi. Baciò la terra, ringraziò l’Altissimo e poi con gli occhi pieni di lacrime riabbracciò gli amati genitori felici di riaverlo con loro.

Dopo una settimana gli giunse  l’ordinanza di precettazione per la conquista della Libia, ma fortunatamente  la guerra cessò. Inoltrò la domanda per  la P.S. Dopo che l’abbiamo intervistato,  ha chinato la testa ed è scoppiato a piangere; con  flebile voce, ha aggiunto:”La guerra è morte, la pace è vita”.

Michele Molino

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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