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La memoria dei defunti nell’antica Histonium

L’inestimabile, ingente patrimonio, ancora da scoprire nella sua complessa giacitura ultrasecolare, costituito dalle cosiddette «antiche pietre», offre preziose nozioni sul passato storico della romana Histonium, oggi Vasto.
La «rilettura» di queste «pagine inerti» ci consentono, infatti, di
ricostruire la vita, i costumi, le vicende dei nostri antenati. Nei decenni scorsi scavi, condotti dalla Soprintendenza ai Beni Ambientali della Regione Abruzzo, nella zona tra via Antonio Bosco e via del Cimitero, hanno consentito di localizzare sequenze di tombe appartenenti ad una necropoli posta al di fuori delle «domus» (centro storico), databili all’inizio del IV secolo.
l’esistenza di numerose aree sepolcrali risalenti alla romana Histonium sono state convalidate nel
tempo dal rinvenimento, nella zona tra via del Cimitero e l’Incoronata, di tombe di estinti «pagani»; da altre sepolture affiorate nella «seconda necropoli» di Histonium a piazza Rossetti – corso Garibaldi, con oggetto di corredo funebre; inoltre dal «sepolcro urbano» localizzato, approssimativamente tra via Roma-piazza Verdi e la Chiesa della Madonna delle Grazie ed alcune tracce conducono fino alla Torre Damante ed oltre ancora a piazza Barbacani.

Stele, urne, lapidi sepolcri (originale quello «bisomo» che conteneva i corpi di Buzio di Alvappario e della consorte Bellalta de Palatio), lastre funenarie (rilevante quella di Marco Bebio al quale venne decretato il funerale a spese pubbliche, la statua equestre con scritta d’argento) testimoniano che la popolazione di Histonium, municipio dei Romani, teneva in gran conto la memoria dei defunti.

Sui riti, sulle usanze, regolati da appositi formulari, riguardanti la celebrazione dei funerali, regolati da regole che facevano riferimento a talune «corporazioni» che interveni vano all’occasione, offriamo una sintesi in questo periodo in cui l’umanità si accinge a commemorare i fedeli defunti

I «lapicidi» – Le lapidi e le stele funerarie in epoca romana

I «lapicidi», in “epoca romana, erano personaggi tenuti in grande considerazione, insieme agli strumenti che essi adoperavano per incidere le lapidi. Costituivano, quindi, un tratto sacrale tra la popolazione, perché erano particolarmente abili nella conoscenza e nella trascrizione lapidea dei vari tituli.

La loro origine risale ai IV secolo a.C. per avere diffusione nell’età Imperiale, stando al rinvenimento di abbondante materiale sepolcrale, e la tecnica dell’iscrizione era regolata da alcune fasi preparatorie.

I testi dell’ iscrizione da in­cidere (Minuta) venivano dettati dal cliente o composti dal «lapicida» (o marmista) che, come si usa ancora, aveva a disposizione delle scritte «standard» che venivano adottate a seconda dei casi. Veniva quindi scelta la dimensione della lapide e tracciata la di­sposizione delle parole da in­cidere, detta Ordinatio. L’esecuzione materiale, cioè Inscriptio era compito dell’artigiano, cioè Inscriptor.

Riti funebri – La morte -L’oltretomba

I romani avevano un parti­colare rituale che osservava­no scrupolosamente in occa­sione della morte di un con­giunto.
Credevano, infatti che l’anima del defunto si ^sepa­rasse dal corpo e ricominciasse una nuova vita accanto al suo scheletro.

Necessaria, quindi, la se­poltura che, se non avveniva ovvero incompiutamente si effettuava senza i prescritti riti, l’anima era costretta a vagare sulle rive dello Stige, fiume infernale e, da qui, nottetem­po, si dipartiva per dare spa­vento al parenti per indurii a rispettare i loro doveri.
In questa nuova vita sotter­ranea il defunto continuava nei bisogni e nelle passioni, sicché si riteneva opportuno seppel­lire anche gli oggetti che in vita erano cari al morto.

Peraltro, accanto alla tom­ba, talvolta, erano deposti, latte, focacce, frutta, vino, sale per soddisfare la sete e la fame dell’estinto.
Si credeva anche che i morti non sì allontanavano dalla di­more in cui erano vissuti e spesso prendevano parte, sen­za essere visti, agli avveni­menti familiari. |

Se poi i vivi erano costretti a cambiare casa, erano tenuti a portare una zolla di terra paterna a cui potevano attac­carsi le anime dei defunti.
E questi erano anche divi­nizzati tanto da essere detti Manes cioè Dei della Casa, secondò una legge comune a tutti i morti.
Cosi la tomba era casa e il tempio del defunto.

Esposizione del cadavere – Il funerale

Con un bacio il congiunto più stretto raccoglieva l’ultimo respiro del moribondo e gli altri parenti, per accertarsi che era effettivamente morto, lo invocavano per tre volte (Conclamatio). Dopo aperti e richiusi gli occhi al morto si metteva in bocca . una moneta (Naulum) per pagare il viaggio verso l’Ade considerato il regno dei defunti.

Veniva denunciato il decesso e poi, presi accordi con d’imprenditore delle pompe funebri. (Libitinarii) veniva predisposto il funerale.
Frattanto il cadavere era lavato con acqua calda è cosparso di unguenti odorosi; poi vestito e deposto sul Lectus Funebris coi piedi volti verso la porta.

Il focolare domestico veniva spento in segno di lutto e l’ambiente decorato con rami di abete (Picae) e adornato di lampade, mentre all’ingresso della casa veniva appeso un ramo di cipresso (Cupressus). Dopo l’esposizione e la vi sita, un banditore andava in giro a invitare la gente a partecipare al funerale (Exequiae). Il corteo funebre era preceduto da un cerimoniere (Dissignator) aperto dai musici (Siticines) a seguito da un gruppo di donne pagate (Praeficae) per piangere e cantare le lodi del defunto con inni di lamento (Neniae).
Guidato daU’Archiminus, mimi e danzatori imitavano, indossandone la maschera, gesti, atteggiamenti e modi di camminare del morto.

La maggior parte dei defunti (eccetto le vestali e gli uomini illustri che venivano seppelliti in città), era inumata lungo le grandi strade maestre). Nei primi tempi il cadavere era sempre seppellito: veniva tolto dalla bara e deposto nel sepolcro, dentro un sarcofago su cui era murata la lapide con le iscrizioni sepolcrali.

L’uso della cremazione del cadavere

Venne in uso di cremare il cadavere (Crematio) per offrirlo come olocausto agli dei, ma una parte di esso doveva essere recisa (Os Resectum) ed egualmente seppellita, seguendo il tradizionale rito funebre. Il cadavere era portato in un luogo predisposto (Ustri num) e deposto su di una catasta di legna (Rogus) che aveva forma di altare e su cui veni vano deposti gli, oggetti più cari al morto.

Un parente stretto vi dava fuoco con una fiaccola (Ustor) voltando il viso dalla parte opposta.
Bruciato il cadavere veniva spento il fuoco con acqua e vino ed i familiari raccoglievano le ceneri che venivano deposti in un’urna collocata nel sepolcro e, quindi veniva ‘pronunciata la frase di addio: «La terra ti sia leggera!» (Terra tibi levis sit!), oppure «Dormi in pace» (Molliter cubent ossa) ed esaltata l’apoteosi del defunto.

La tomba era purificata con acqua lustrale e vi si sacrificava un porco e, spesso, per questo, accanto alle ossa del morto è frequente, dissotterrando le tombe, trovare anche i resti di ossa di suini, oppure di altri animali. Peraltro, sulle tombe veniva consumato il rituale banchetto funebre (Silicernium) che veniva ripetuto dopo nove giorni, con libagioni offerte ai Mani.

Era uso che l’incenerazione veniva effettuata dentro la fossa (Bustum) e le ossa venivano ricoperte di terra, oppure lontano dalla sepoltura (Ustrium). I resti delle ossa recuperate dalla incenerazione, dopo essere state lavate con latte e vino, venivano de poste in anfore, o in urne cinerarie che potevano essere di vetro, di alabastro, di laterizio. Le urne di vetro, quelle simili a bottiglie, con apertura larga erano riservate alle donne.

Attorno all’urna si ponevano alcuni oggetti cari al defunto, i gioielli, i giochi, i pro-fumi, e chiodi o specchi che assumevano, oltre che un rituale magico, anche scaramantico.

Al termine della sepoltura (Humatio) tutti facevano ri torno a casa che veniva purificata con zolfo; si riaccendeva il focolare e si osservava il Novendiale, cioè i nove giorni di lutto che terminava con un sacrificio ai Mani e una cena simbolica a base di uova, lenticchie e sale. A seconda delle possibilità finanziarie della famiglia, i sepolcri erano più o meno ampi, ma adatti a far «rivivere» ai defunti una vita migliore, analoga a quella terrestre.

Spesso, infatti, nelle necropoli, si rinvengono séguiti di celle sotterranee in cui erano deposti più sarcofaghi o urne cinerarie insieme a suppellettili domestici, vasellame,. lampade, mobili in genere. I più ricchi si facevano costruire poi, spaziosi sepolcri o cosiddette tombe gentilizie, con annesso giardino e l’abitazione di uno schiavo-cu-stode.

I collegi Sacerdotali avevano tombe riservate, mentre chi non aveva eredi o parenti, si rivolgeva ai sodalizi privati (Sodales) che provvedevano, dietro pagamento di una quota annuale, alle esequie ed alla nicchia sepolcrale in un edificio che conteneva tante nicchie (Columbarium) una vicina all’altra.

La maggior parte delle sepolture erano collocate lungo le strade consolari, perché, attraverso la lettura delle lapidi incise si ricordava ai vivi la memoria del defunto, sia pure per un attimo (Lapidaria).

Nel calendario romano erano fissate alcune date destinate alla celebrazione dei defunti. I «Parentalia» nell’anniversario della morte; i «Feralia» a Febbraio; i «Lemuria» a Maggio, giorno in cui le anime dei defunti cercavano di tornare nella loro casa di abitazione.

Nella circostanza il capo famiglia recitava una formula di scongiuro, voltando le, spalle alla porta di ingresso e gettava una manciata di fave per allontanare lo spirito dei morti. Il due novembre, giorno destinato alla memoria dei defunti venivano, a ricordo di quel rito, cucinate e consumate delle fave dolci.

Alcuni simboli

Latte: Era considerato il cibo della divinità, il nutrimento, il legame di sangue familiare, simbolo di maternità. Era usato ritualmente come fluido vitale.

Vino: Simbolo di vita e fecondità, prodotto della vite sacra agli dei che muoiono e risorgono.

Maiale: Era considerato il simbolo della fertilità, ma anche la creatura che raffigura i peccati che legano l’uomo alla terra, all’illusione dei sensi.

Fave: Si riteneva che custodissero le anime dei defunti. Durante i «Parentalia» gli spiriti potevano ritornare a visitare i luoghi in cui erano vissuti. Venivano così utilizzate le fave che si riteneva producessero particolari effetti magici. Simboleggiano la fertilità e la ricchezza.

Giuseppe Catania (noivastesi)

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