Al traguardo sono arrivati sottobraccio. A conferma del legame che li unisce da quel 22 febbraio dello scorso anno quando, in sala operatoria, l’uno si è consegnato nelle mani dell’altro. Massimiliano Ponzo, camionista oggi 46enne, era ad un passo dalla morte se quella mattina di febbraio non fosse arrivata la notizia che aspettava da mesi. «Purtroppo — ricorda — era una bruttissima notizia: la morte di un ragazzo palermitano di 33 anni. Sul Resto del Carlino si parlava della scelta della famiglia di donare gli organi: il cuore era destinato proprio al Sant’Orsola di Bologna dove io ero il primo in lista d’attesa». A trapiantargli il cuore del giovane palermitano fu il cardiochirurgo Luca Di Marco, 44 anni.
LA STRACITTADINA. Domenica scorsa Massimiliano e Luca si sono ritrovati uno sottobraccio all’altro a tagliare il traguardo della stracittadina nell’ambito della Maratona di Roma. Un’iniziativa della fondazione «Cuore Domani» per raccogliere fondi per la ricerca sulle malattie cardiovascolari. «È stata una gioia immensa — dice Di Marco — vedere che ad un anno dal trapianto un tuo paziente può correre e va anche più forte di te». Un percorso ridotto, dai Fori Imperiali al Circo Massimo, sotto la pioggia a raccontarsi di come va la vita. «Luca mi ha visto abbronzato e mi ha chiesto: “Ma che fai? Vai già al mare?”. No, a sciare». Da oltre un anno Massimiliano e Luca hanno un legame speciale. «Qualcosa che va oltre il rapporto medico-paziente — conferma il cardiochirurgo — non a caso questa volta ho voluto che ad assistere alla gara ci fossero mia moglie e mia figlia di 5 anni. Prima della partenza avevo spiegato alla piccola che a quel signore avevo messo un cuore nuovo. Lei sembrava confusa e mi è venuto il dubbio che forse non era preparata. Ma arrivati al traguardo mi è venuta incontro. Ci ha sorriso e poi mi ha abbracciato forte. Un vero premio per la gara e anche per il mio lavoro».
I PRIMI SEGNALI «Marco è ormai il mio angelo custode — racconta Massimiliano — non solo per quello che ha fatto in sala operatoria ma per come mi è stato accanto prima e dopo il trapianto, sempre a farmi coraggio e darmi speranza». Un calvario lungo e doloroso per quest’omone che a 16 anni giocava a basket a livello agonistico e sognava un futuro da campione. Ad un controllo dei medici sportivi salta fuori una piccola disfunzione cardiaca. Lui pensa non sia nulla di grave, ma il Coni gli nega la certificazione per stare ancora in campo. Massimiliano non si abbatte e riversa le sue energie su famiglia e lavoro. Ma quella malattia subdola gli presenta il conto a 38 anni. Diagnosi: cardiomiopatia dilatativa. «Due anni dopo muore mia madre della stessa malattia. A quel punto facciamo un’indagine genetica e scopriamo che tutti i parenti per parte di madre sono morti per la stessa patologia tra i 40 e i 55 anni. La mia vita era segnata. Da quel momento è stata una discesa agli inferi fatta di ricoveri e arresti cardiaci». L’unica speranza: il trapianto atteso per anni. Fino a febbraio dello scorso anno.
L’ABBRACCIO AL FIGLIO. Da allora Massimiliano e Luca non si sono più persi di vista. «Ci sentiamo spesso al telefono e poi, ogni volta che da Roma vado a Bologna per i controlli, è una rimpatriata. Prima della gara di domenica ne avevo fatte altre due e gli avevo mandato foto e video. Domenica finalmente l’abbiamo fatta assieme». Il cardiochirurgo ci tiene al messaggio positivo per quanti attendono un trapianto: «C’è sempre una speranza e dopo si può tornare ad una vita normale». Come Luca anche Massimiliano lega il momento della rinascita ad un abbraccio del figlio. «Ha dieci anni — racconta — e per tutta la sua vita mi aveva visto solo in ospedale, a letto o in sedia a rotelle. Appena sono uscito dalla sala operatoria mi son detto: ora mi riprendo tutto quello che mi è stato rubato. Una settimana dopo muovevo i primi passi, tre mesi dopo ho finalmente potuto giocare a pallone con mio figlio. Ad un tratto lui è improvvisamente scoppiato in lacrime. “Ma che c’è?” gli ho chiesto. E lui: “Papà, ma allora anche tu puoi giocare a pallone”».
Alfio Sciacca (Corriere della Sera)