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Salvataggio dei capodogli, operazione da manuale

necroscopia capodogli - 05

Il salvataggio dei sette capodogli spiaggiati a Punta Penna il 12 settembre 2014 – tre dei quali morti dopo poche ore, mentre gli altri quattro riuscirono a riprendere il largo  – è entrato a far parte di un protocollo di gestione per gli spiaggiamenti di massa. L’enorme mobilitazione di cittadini e volontari e le tecniche utilizzate per far fronte ad un simile evento sono diventati una sorta di manuale a cui fare riferimento in futuro in casi del genere. A rivelarlo è uno studio pubblicato pochi giorni fa su Scientific Report, ripreso in un articolo del National Geographic, che affronta la tematica con un approccio fortemente interdisciplinare.

“Si tratta di una ricerca molto complessa, sia per la dimensioni degli animali spiaggiati che per il numero di esperti e centri di ricerca coinvolti, che si sono espressi sull’evento in modo del tutto indipendente, ma hanno poi dovuto far confluire le diverse opinioni nella stesura finale del paper”, spiega Sandro Mazzariol, docente di patologia generale e anatomia patologica all’Università degli Studi di Padova e primo autore dello studio. Le analisi effettuate sui 3 esemplari morti hanno permesso di comprendere che erano femmine geneticamente imparentate, di cui una incinta.
“Si trattava di un gruppo matriarcale, guidato da una femmina di 35 anni gravida”, annota Mazzariol, “questo esemplare soffriva in particolare di una patologia renale piuttosto importante, che ne ha alterato le capacità organiche. Trovandosi in una zona come l’Adriatico dove per i capodogli è difficile trovare prede, la patologia si è aggravata perché l’individuo non era in grado di nutrirsi e quindi di assumere acqua. Inoltre, tutti gli animali erano affetti da Morbillivirus che, seppur a uno stadio iniziale, ha compromesso le condizioni già pessime del gruppo”.

Secondo gli studi più recenti a predisporre i cetacei a questa malattia contribuisce l’inquinamento marino da Pcb (Policlorobifenile ndc) e altri organoclorurati che abbassano le difese immunitarie degli animali rendendoli vulnerabili all’infezione.

“Nel caso del 2014 gli individui hanno seguito l’esemplare guida fino allo spiaggiamento, complici anche le condizioni meteo-marine non ottimali”, conclude l’esperto.

Gli altri quattro capodogli,  che sono stati salvati grazie allo sforzo collettivo dei volontari e dei cittadini e che sono riusciti a riprendere il largo,  non si sono più spiaggiati stando ad un monitoraggio transfrontaliero.

Anna Bontempo  (Il Centro)

 

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