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La Pilkington la licenzia, i giudici la riassumono

L’immediata reintegra al posto di lavoro e il pagamento di 12 mensilità oltre alle spese giudiziarie. E’ quanto ha disposto la Corte d’appello dell’Aquila a cui si è appellata Laura Lugetti, dipendente della Pilkington licenziata dal colosso vetrario “per giusta causa”.

A giudizio della Corte all’origine del provvedimento manca proprio la giusta causa. In sostanza i giudici aquilani hanno ribaltato la sentenza di primo grado emessa dal Tribunale di Vasto e hanno accolto le motivazioni presentate dal legale della donna , l’avvocato Emanuele Pagliaro.

I motivi di tensione fra la lavoratrice e il colosso del vetro sono nati da un contenzioso che è tuttora pendente fra l’impiegata e l’azienda. Quando la donna si è rivolta ai giudici denunciando i suoi dirigenti, la Pilkington ha disposto la sospensione dell’attività lavorativa per giusta causa. Il licenziamento è stato impugnato . I giudici vastesi hanno ritenuto fondate le motivazioni della multinazionale.

Di diverso avviso i giudici aquilani , che hanno accolto il ricorso disponendo la reintegra nel posto di lavoro dell’impiegata. La denuncia presentata dalla Lugetti contro i superiori va considerata un esercizio di diritto . Una forma di autotutela e di difesa dei propri diritti e non un attacco ai suoi superiori o all’azienda.

La legge italiana vieta il licenziamento che non sia fondato su valide ragioni. Ragioni che non possono mai dipendere dal gradimento del datore di lavoro. È possibile il licenziamento quando il lavoratore è divenuto completamente inutile all’azienda, anche a seguito di una sua sopravvenuta incapacità fisica a svolgere le mansioni, o quando sia colpevolmente poco produttivo. È sicuramente possibile mandare a casa un dipendente che si sia macchiato di gravi violazioni nello svolgimento degli incarichi assegnatigli .

Il caso di Laura Lugetti non rientra fra questi e i giudici di appello le hanno dato ragione. Resta da vedere se ora la Pilkington accetterà la decisione della Corte d’appello dell’Aquila o riterrà di dover ricorrere in Cassazione.

Paola Calvano (Il Centro)

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