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Ultrà al processo, allo stadio con il volto coperto

4 settembre 2016. Vastese e Chieti si incontrano allo stadio Aragona. Drammatico il dopo partita costato una pioggia di daspo e per tre tifosi anche il rinvio a giudizio.

E’ cominciato ieri davanti al Tribunale di Vasto il processo per V.S., 28 anni, S.D.V. 25 anni e U.M., 27 anni, tutti di Vasto per inosservanza dell’articolo 5 della legge del 22 maggio 1975 che disciplina l’ordine pubblico. L’articolo 5 vieta l’uso di caschi e travisamenti nelle manifestazioni pubbliche di grande richiamo.

Secondo l’accusa i 3 avrebbero usato allo stadio Aragona passamontagna o sciarpe che rendevano difficoltosa la loro identificazione al termine della partita Vastese – Chieti.

Lo scopo“, è scritto nel capo d’imputazione “era scontrarsi con l’opposta tifoseria”.  Una accusa che i difensori degli ultrà biancorossi, gli avvocati Raffaele Giacomucci, Isabella Mugoni, Antonello Cerella e Massimiliano Baccalà contestano.

Ieri il tribunale ha ascoltato i primi testimoni.

Il prossimo 8 giugno il giudice Antonini ne ascolterà altri richiesti dalla difesa.

Quella partita fu una delle più drammatiche in città. Il capo di gabinetto della questura realizzò dei filmati che ritraevano i tifosi biancorossi prima e dopo l’incontro di calcio. Il dopo partita fu particolarmente movimentato con lancio di sassi e bottiglie. Danneggiate tre auto parcheggiate fuori dallo stadio nella zona della curva D’Avalos. Danni anche ad una palestra e ad un blindato della polizia. Solo per miracolo il presidente della Vastese, Franco Bolami, non rimase ferito. Una bottiglia lanciata con forza sfiorò il dirigente. Altre vennero lanciate contro gli spogliatoi. Quasi 200 i tifosi della squadra ospite. Una cinquantina di loro cominciò ad agitarsi e poco dopo iniziò il lancio di oggetti interrotto fortunatamente dall’arrivo delle forze dell’ordine. Carabinieri e polizia in tenuta antisommossa intervennero per evitare che venissero in contatto le due tifoserie. La rivalità tra i supporter delle squadre di calcio delle due città esplose all’esterno dello stadio al triplice fischio dell’arbitro. I difensori dei tre imputati assicurano che l’abbigliamento dei loro clienti era una forma di difesa e non un tentativo di sfuggire all’identificazione.

Paola Calvano (Il Centro)

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