Per gli amanti del mare il 2014 è stato un annus horribilis, in special modo per gli abruzzesi. La scorsa stagione balneare è iniziata con una pessima notizia: le nostre acque classificate tra le più sporche d’Italia. Il resto della situazione non va meglio tra sforzo di pesca in aumento e rifiuti ammassati sulla battigia dopo ogni mareggiata. La situazione non può dirsi migliore per le acque dolci: lo stato dei fiumi registra un continuo peggioramento.
L’ultimo scorcio d’estate ha inoltre “regalato” un episodio che resterà indelebile nella memoria collettiva: la notte tra l’11 e il 12 settembre sette capodogli si sono spiaggiati sull’arenile di Punta Aderci, a Vasto. Una femmina era incinta. Di quei meravigliosi animali quattro sono stati riaccompagnati in mare con successo da una solidale folla di volontari. Le tre carcasse (compreso l’esemplare gravido) sono state sottoposte ad esami necroscopici. Tra le ipotesi per spiegare l’accaduto una delle più accreditate è la presenza di gas accumulati nel sangue per un’emersione troppo rapida. Non è difficile ipotizzare una causa antropica, anche se forse certezze non ne avremo mai. Gli spiaggiamenti rimangono tuttora enigmi della biologia marina: si verificano da sempre, ma è un fatto che l’azione dell’uomo ha reso il fenomeno più frequente.
Nel 2014 si sono spiaggiati in tutto trenta cetacei, in gran parte tursiopi, lungo la costa abruzzese. Di questi la maggior parte è arrivata a riva già morta, altri hanno ripreso il largo, ma non sappiamo se siano sopravvissuti o semplicemente siano andati a morire altrove.
Inoltre 53 tartarughe della specie Caretta caretta, specie prioritaria per la tutela ambientale, sono state trovate spiaggiate o impigliate nelle reti da pesca. Un trend purtroppo in aumento: nei soli primi due mesi dell’anno appena iniziato si registrano 34 esemplari morti in maniera non naturale (la maggior parte per soffocamento). Gli spiaggiamenti di questi rettili si stanno manifestando con frequenza in Adriatico. Una delle cause è probabilmente l’intensa pesca professionale, in particolare quella con reti a strascico e da posta. Le tartarughe frequentano l’alto Adriatico soprattutto per alimentarsi e di solito si spostano verso sud a fine agosto. In questi ultimi anni, a causa dei cambiamenti climatici, il mare è più caldo e nel periodo successivo al fermo biologico (11 agosto – 22 settembre) sono ancora da noi quando le barche tornano in mare in massa per rifarsi dopo la pausa forzata… Una soluzione possibile per combattere questa moria potrebbe essere legata a tecniche di pesca eco-compatibili dato che le tartarughe marine sono specie ad alto rischio estinzione o anche a una revisione dei piani per la pesca “misurati” a seconda della zona marina di riferimento e delle sue specifiche esigenze.
La pesca è una delle cause maggiori di gravi ferimenti o di decessi ma di certo non l’unica: gli impatti con le imbarcazioni, ad esempio, sono relativamente frequenti in un mare trafficato come l’Adriatico, senza dimenticare il peso crescente dell’inquinamento.
Le tartarughe sono sulla terra da ben prima della comparsa dell’uomo; sono state capaci di sopravvivere all’estinzione di massa dei dinosauri, 65 milioni di anni fa; hanno superato glaciazioni e altri eventi naturali estremi. Sono dotate di sofisticati sistemi per orientarsi e di una serie di accorgimenti idrodinamici per nuotare per migliaia di chilometri. Sono perfettamente equipaggiate per qualsiasi evento naturale, ma non per quelli innaturali. Proprio per questo dobbiamo fare qualcosa prima che sia troppo tardi, per loro e per noi tutti.
L’ambiente marino dell’Adriatico è un prezioso scrigno di biodiversità ma è anche un sistema estremamente fragile nel quale l’impatto dell’uomo può avere effetti catastrofici. Preservarne l’integrità a la bellezza dovrebbe essere un bisogno prioritario per ciascuno di noi. Siamo custodi di una piccola parte del mondo di enorme pregio ambientale, impegniamoci per quanto ci è possibile perché resti “speciale” e piena di vita.