La Banca Carim, Cassa di risparmio di Rimini, nell’ambito di una ristrutturazione e riorganizzazione, «per raggiungere un’immediata riduzione dei costi, comunica la chiusura di dieci filiali dislocate tra Abruzzo e Molise, nonostante la maggior parte di queste abbiano riportato nel 2014 un risultato economico positivo». A lanciare l’allarme sono i sindacati Cgil e Fisac Cgil Abruzzo e Molise, che parlano di «grave decisione assunta dai vertici aziendali». Le filiali molisane sono quelle di Campobasso, Jelsi, Mirabello Sannitico, Sant’Elia a Pianisi e Campomarino (Campobasso), per un totale di 15 dipendenti; le agenzie abruzzesi sono quelle di Pescara, Pescara centro, Chieti, Teramo e Vasto, per un totale di 25 dipendenti. «Non si conosce, ad oggi – dice la Cgil – il destino delle lavoratrici e dei lavoratori, 40 in tutto, delle filiali interessate dalla chiusura, che difficilmente potranno essere riallocati».«Tutto ciò – si legge in una nota dei sindacati – è scandaloso. Tale decisione rappresenta un danno economico e sociale per le lavoratrici e i lavoratori, le loro famiglie e per il territorio, oltre a costituire un’offesa inaudita alla clientela. Si esercitano continuamente forti pressioni commerciali sui dipendenti delle banche affinché, in nome del budget, questi ultimi acquisiscano nuova e sempre più clientela, per poi abbandonarla, come nel caso di Carim, al proprio destino». Cgil e Fisac Cgil Abruzzo e Molise auspicano che «i presidenti delle due Regioni intervengano con immediatezza per incoraggiare soluzioni alternative, contrattate con i sindacati, e per porre un argine al disagio sociale che il territorio continua a subire anche a causa del progressivo depauperamento del proprio tessuto economico. Si confida, inoltre – aggiungono – nella sensibilità dei sindaci interessati dalla chiusura delle filiali, affinché possano tutelare l’interesse dei loro cittadini, penalizzati da simili decisioni». «Non si può restare indifferenti al cospetto di provvedimenti che calpestano la dignità delle persone; non è più tollerabile che le lavoratrici e i lavoratori debbano subire decisioni calate dall’alto, peraltro neanche rispondenti, come nel caso in questione, a ragioni squisitamente economiche», concludono i sindacati.