Nel corso di questi ultimi anni abbiamo sentito sempre parlare di aggressione all’Adriatico, al turismo costiero con posizioni drastiche avverso ogni forma di rincorsa all’approvvigionamento energetico: come dimenticare il no al parco eolico di fronte Petacciato, il niet al termovalorizzatore, infine le lotte contro la petrolizzazione (vedasi Rospo Mare e Ombrina mare 2). Se da questa parte dell’Adriatico la mobilitazione anche delle Amministrazioni locali, Vasto in primis, è parsa chiara e contraria non altrettanto accade in Croazia dove sono state rilasciate ben 10 concessioni per l’esplorazione e l’eventuale estrazione di idrocarburi.
Una decisione contestata dagli imprenditori turistici, ma che porterà nell’immediato nelle casse del governo slavo ben 100 milioni di dollari a fronte di un investimento stimato da 2,5 miliardi di dollari nei prossimi 5 anni.
Se è vero che ben 7 concessioni sono finite in mano ad un consorzio austriaco-statunitense, tra le altre una è finita, si badi bene, in mano alla joint-venture Eni – Medoilgas, la stessa che aveva intenzione di realizzare la piattaforma Ombrina mare 2 di fronte l’Abruzzo
Dunque, l’episodio accaduto ieri a Termoli, ovvero il ritrovamento sul litorale nord di un bidone contenente sostanze tossiche della Baker Hughes srl di Cepagatti, che produce fornisce fanghi e fluidi di perforazione, cemento per pozzi, trivelle di ogni dimensione e per ogni tipo di pozzo, potrebbe non trattarsi di un episodio unico, un contenitore contenente un solvente per asfaltene, componente molecolare del petrolio greggio.
E chissà, allora, che l’ingresso di Vasto nel coordinamento delle città per la macro-regione Adriatica possa portare benefici anche a livello di una tutela ambientale coordinata e concordata.