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L’Ultima Thule di Francesco Guccini

Per una delle poche volte, la grande musica d’autore è stata premiata dalla maggioranza. L’Ultima Thule, il ventiquattresimo album di Francesco Guccini uscito a fine novembre, dopo essersi mantenuto stabile per tutto il periodo natalizio alla quinta posizione della classifica FIMI e la conquista delle vette degli acquisti i-tunes, è diventato disco di platino ai primi di gennaio, con la vendita di oltre 70mila copie. L’album ripercorre in otto tracce la partenza e l’approdo del cantautore pavanese. Conosciamo tutti le varie rotte che ha seguito in questo viaggio: dall’esordio “Folk beat n. 1” (1967) con le toccanti “La canzone del bambino nel vento” (meglio nota come Auschwitz) e “In morte di S.F.” (meglio nota come “Canzone per un’amica”), a “Radici”(1972), il primo capolavoro di uno “che coi motori non ci sa fare/ e che non sa neanche guidare/ un tipo perso dietro le nuvole e la fantasia”, ma cantautore schietto e coerente con se stesso. “Radici”, infatti è un susseguirsi di grandi canzoni, a partire dalla title-track a “Il vecchio e il bambino”, comprendendo “Piccola città”, “Incontro” e l’epica “La locomotiva”. E poi ancora, da “Stanze di vita quotidiana” (1974) con “Canzone delle osterie di fuori porta” e “Canzone per Piero” a “Via Paolo Fabbri 43”(1976), passando per “Amerigo” (1974) con due gemme preziose, la title-track e “Eskimo”. Negli anni ‘80 Guccini stupisce ancora una volta con “Metropolis” (1981) che unisce città lontane (“Bisanzio”) alla realtà quotidiana del cantautore (“Bologna”), e con “Signora Bovary” (1987) che ci regala “Van Loon” e “Culodritto”; due splendidi spaccati sull’esistenza umana che nascondono dediche personali (la prima al padre, la seconda alla figlia bambina). E poi ancora una galleria infinita di “ritratti”: come dimenticare “Cencio”, “il Matto”, “Cirano”, “il Frate”, “Samantha”, “il Che”, “Silvia”, “Don Chischiotte”, “Odysseus”? Con L’Ultima Thule, il Maestrone ci porta alla scoperta dell’“ultima terra” del suo mondo di cantautore: come ha detto lui stesso, l’album sarà l’ultimo della sua carriera (dopodiché niente più dischi, solo nuovi libri). Non a caso, ha scelto d’incidere questo album proprio a Pàvana, dove ha vissuto quand’era bambino, per concludere il suo percorso di cantautore in un luogo simbolico della sua vita. Come a voler dire: “da qui sono partito e qui torno ad approdare”. In quest’ultimo capolavoro di Guccini, come sempre, è ben presente lo scavo interiore, molte tracce esaminano i giorni e le notti passate, ma i caratteristici interrogativi “su questa cosa che chiami vita” non sono assenti. Da Pàvana e il suo fiume, a partire dalla terza traccia, il disco prende il largo verso la storia per sfociare in una graffiante lettura del presente, e poi tornare ad accenti intimi, prima del racconto epico finale, la title-track. Molte sono le canzoni memorabili presenti in questo album, tra le quali Canzone di notte n.4., brano d’apertura che è preceduto da un simpatico botta e risposta in pavanese: il piano di Vice Tempera e il sax di Marangolo accompagnano benissimo il testo, nel quale mancano i toni carichi d’ironia e risentimento per la società che avevano caratterizzato gli altri notturni (in particolare, Canzone di notte n. 2: “è facile tornare con le tante stanche pecore bianche! Scusate, non mi lego a questa schiera, morrò pecora nera!”), mentre è presente tutta la magia di Pàvana addormentata: “il fiume muglia laggiù in fondo e nel silenzio bevi la sua voce, / racconta questo eterno vagabondo storie del viaggio da sorgente a foce, ma lo interrompe un camion errabondo che romba veloce”. L’ultima volta è un altro brano intessuto di ricordi pavanesi e incentrato sulla consapevolezza che tutto ha una sua fine. Seguono Su in collina, Quel giorno d’aprile e Il testamento di un pagliaccio. Il primo, racconta un crudo episodio di guerra partigiana, tradotto dalla poesia bolognese di Gastone Valdelli, il secondo è un commosso ricordo del 25 aprile, che può essere visto quasi come un inno, il terzo è un ironico sberleffo della situazione politica attuale. I due brani dai temi storici, nei quali è chiaro il messaggio a non dimenticare (“Suona ancora per tutti campana e non stai su nessun campanile / perché dentro di noi troppo in fretta ci allontana / quel giorno d’aprile”), possono essere collegati a Il testamento di un pagliaccio per contrasto. In questa traccia, si passano in rassegna vari personaggi deprecabili con la proverbiale carica satirica del nostro cantautore: “Poi ci verrebbe un qualche, a mia insaputa, / uno stilista mago del sublime, / un vip con la troietta di regime, /e chi si svende per denari trenta;/un onesto mafioso riciclato, / un duro e puro cuore di nostalgico, travestito da quasi democratico / e che si sente padrone dello Stato”. Memorabili anche i versi che chiudono la descrizione del funerale: “noi tutti fingeremo un’orazione / ricordando quel povero coglione / cantando in gregoriano marameo”. Non a caso, la musica, è ispirata al mondo circense e Guccini ha commentato il brano dicendo che riguarda ognuno di noi. Per la descrizione dei partecipanti al funerale, il Testamento ricorda la processione di Mezza Quaresima di “Nostra Signora dell’Ipocrisia”, ma sul finale non c’è nessuno che “torna a pensare”. Dopo Notti e Gli Artisti, la title-track chiude l’album. Sulle note di una ritmata musica celtica, ne L’ultima Thule si dipana verso dopo verso, un altro grande racconto gucciniano: il dramma di un navigante che è giunto ai confini del conoscibile, solo, senza più la sua ciurma, ma ha ancora la forza per dirigere la prua verso l’infinito. La lucida consapevolezza dell’inevitabilità di questo destino, domina l’intero brano e conduce all’epico finale: “L’ultima thule attende e dentro il fiordo si spegnerà per sempre ogni passione, si perderà in un’ultima canzone di me e della mia nave anche il ricordo”. Se in questi versi conclusivi si vuole leggere un riferimento autobiografico, il Maestrone non potrà mai avere la stessa sorte del navigatore protagonista. Un cantastorie come lui, “eterno studente”, “piccolo baccelliere”, e “artigiano”, come ama definirsi, resterà sempre compagno di viaggio fino all’ultimo levar d’àncora di quanti hanno interiorizzato la sua musica.

Nausica Strever


  1. Canzone di notte n°4
  2. L’ultima volta
  3. Su in collina
  4. Quel giorno d’aprile
  5. Il testamento di un pagliaccio
  6. Notti
  7. Gli artisti
  8. L’ultima Thule
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