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Un altro Venerdì Santo, tra sofferenza e mistero

 

Ha ancora altro da dirci, nel 2017 del frastuono dei social network, che supera di gran lunga il rumore di fondo di ogni singola coscienza, la Processione del Venerdì Santo, dove la sofferenza interseca il mistero, dove la passione giunge al punto ultimo del suo possibile?

Ha ancora altro da dirci, nel 2017 in cui persino il dolore si perde tra i mille rivoli dell’indifferenza e dell’insignificanza, la Processione del Venerdì Santo, per ogni via di ogni Comune d’Abruzzo e del mondo, la Processione di chi crede e chi no, di chi s’affanna, di chi combatte, di chi ha mollato da tempo? Ha ancora altro da dirci, nel 2017 delle macerie ancora in mostra, dei terremoti che hanno scavato terre e abissi, la Processione del Venerdì Santo?

Se la folla, anche nel 2017, chiamata a scegliere chi dev’essere crocifisso, salva sempre i Barabba, come notò con arguzia Jean Cocteau, la stessa folla rivolge la sguardo all’insù e attende. Nell’attesa c’è il segno della sconfitta perenne, della propria sconfitta. Perché non è più tempo di attesa. È tempo di comprendere, di caricarsi quella sofferenza e di restituirla mutata, perché ci ha mutati.

In ogni Comune d’Abruzzo e del mondo si avverte il segno dello smarrimento, di ciò che si ripete come un rito antico eppure sempre nuovo. Quel segno, quella Croce, può ancora dire tanto, anche nel 2017, a chi crede e a chi no. Fermarsi e ripartire da ogni singola stazione d’Abruzzo e del mondo. Perché siamo fatti per ricominciare. Sapendo che non siamo più quelli della stazione precedente. Qualcosa è successo. Qualcosa è mutato. Ognuno di noi sa. Se non è folla.
Davide D’Alessandro

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